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NEWSLETTER n.139 del 30 SETTEMBRE 2014

 

UNA POSTA IN GIOCO CHE PUO’ FARE STORIA

di Raffaele Morese 

Ma cos’è in gioco attorno al totem dell’articolo 18? L’accelerazione della dialettica tra i partiti, nei partiti, tra questi, il Governo e i sindacati e tra gli stessi sindacati, con incursioni impreviste come quella della Cei o spregiudicate come quella di Della Valle o sorprendenti come quella di De Bortoli è un sintomo non negativo della rivitalizzazione della società italiana, che sembrava condannata a scivolare sempre più nello scollamento di una storica e collaudata coesione sociale. Certo, occorre – come sempre – distinguere il grano dal loglio. Capire, appunto, quali sono le ragioni effettivamente in gioco.

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IL MODELLO TEDESCO SERVE ANCHE AL SINDACATO

di Romano Prodi

 “Fare come i tedeschi“: è la parola d’ordine di tutti coloro che si interessano del mercato del lavoro. Mi sembra un’indicazione saggia perché il mercato del lavoro tedesco funziona bene. Funzionava tutto sommato assai bene anche quando la Germania era accusata di essere la tartaruga d’Europa ma ha funzionato ancora meglio negli ultimi dieci anni, dopo che Schroeder ha proposto e fatto approvare ulteriori miglioramenti, che riguardano soprattutto la mobilità interna (cioè la possibilità di variare mansioni e orari per rispondere ai cambiamenti produttivi) e la perdita dell’indennità di disoccupazione se non si accettano proposte di lavoro alternative.

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MEGLIO IL DECISIONISMO CHE LA DERESPONSABILIZZAZIONE

di Giuseppe De Rita

Nelle ultime settimane, specie in occasione della predisposizione e prime indicazioni del cosiddetto JobsAct, si è andata affermando una forte recrudescenza del conflitto fra politica e realtà sociale, più precisamente fra primazia della politica e dialettica fra e con le organizzazioni di rappresentanza. Sono tornati in auge i proclami sull’art. 18, si sono ripetuti agli annunci di reciproco condizionamento fra i diversi protagonisti, si sono rimesse in campo pericolose faglie di frattura fra interi gruppi di classe dirigente. Un ritorno di fiamma ricorrente, quasi un immancabile destino di ritorno dell’eguale.

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IL SINDACATO PROVI A REINVENTARSI

di Pierluigi Castagnetti 

La discussione sul jobs act e, in particolare sull’art.18 dello Statuto dei lavoratori, è molto accesa per diversi motivi: l’impostazione nuova del governo Renzi intreccia infatti, oltre alla necessità che l’Italia ha di dare un messaggio alle istituzioni europee e soprattutto ai mercati stranieri potenzialmente investitori, una crisi economica e finanziaria mondiale che ha oggettivamente ridotto la sovranità in queste materie dei vari paesi, e la crisi del ruolo tradizionale dei sindacati. Per di più l’art.18 in questi 45 anni di vigenza dello Statuto è andato sempre più assumendo un valore simbolico di intoccabilità (per quanto sia stato già fortemente modificato due anni fa con la legge Fornero) che certo non aiuta il confronto e le possibili soluzioni.  

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OLTRE LE RENDITE DI POSIZIONE ASSOCIATIVE

di Paolo Feltrin 

In un recente articolo su “ItalianiEuropei” provavo a mettere sul banco degli accusati l’ideologia dei corpi intermedi, cercando di sostenere quanto i costi sociali dell'associazionismo forte abbiano  pesato nella vicenda storica del nostro paese dagli anni settanta in poi. La retorica tradizionale, infatti,  sia di destra che di sinistra, ha sempre sottolineato il ruolo positivo svolto dai corpi intermedi, considerati fattori di stabilizzazione politica del paese e cinghia di trasmissione tra classi dirigenti e cittadini. 

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RENZI E MARCHIONNE, DUE DEVIANZE CHE S’INCONTRANO

di Giuseppe Berta

Gli intendimenti effettivi di Matteo Renzi nei confronti della politica del lavoro sono emersi con chiarezza soltanto venerdì 26 aprile, durante la visita agli impianti della Chrysler, in compagnia di Sergio Marchionne. In quell’occasione, il presidente del consiglio ha rotto tutte le residue prudenze quando ha mostrato un consenso totale verso la linea sindacale di Fiat-Chrysler.
Mai prima Renzi si era espresso con altrettanta nettezza; anzi, a lungo aveva curato di lasciare indistinti i capisaldi del Jobs Act, ciò che gli garantiva quel tanto di ambiguità necessario per non estremizzare lo scontro con i suoi critici, all’interno del fronte sindacale

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TORNARE A PENSARE IL FUTURO

di Mimmo Carrieri

Bisogna prendere atto che è finito un lungo ciclo e quindi è necessario ripensare l’azione del sindacato. 
La vecchia fase – tramontata da tempo in altri paesi – di un sindacato influente nell’arena pubblica è stata tenuta in vita artificialmente in Italia. Dalle battaglie di dieci anni fa sull’art.18, che hanno dato l’illusione di poter rimuovere le trasformazioni profonde del mercato del lavoro, al mantenimento di un piede, più o meno robusto, nelle stanze istituzionali per riceverne in cambio alcune protezioni ( per le organizzazioni più che per i lavoratori).

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UN SINDACALISMO MONUMENTALIZZATO

Intervista a Bruno Manghi (*)

Dice Renzi che i sindacati hanno pensato solo alle battaglie ideologiche, non alle persone. Cosa ne pensa?
“Forse è un po’  esagerato, però… Effettivamente, negli ultimi vent’anni, il sindacalismo si è monumentalizzato. C’è molta retorica. Essendo in crisi, ha accentuato i discorsi sui grandi valori e sui princìpi, senza guardare agli effetti pratici della tutela”.

Dice Renzi che con questo atteggiamento ha contribuito ad aumentare il precariato. Ha ragione?
“Secondo me no. Il precariato è un problema straordinariamente diffuso in tutto il pianeta. Ha altre origini. Il sindacato non ha aumentato i precari, ma li ha abbandonati al loro destino. Non se ne è mai occupato. Questo è sicuro”.

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L’ARTICOLO 18 E' LA TRINCEA IDEOLOGICA DEL LAVORO

di Pietro Reichlin*

L’opposizione della sinistra del Pd al contratto a tutele crescenti è la prova definitiva che sul lavoro si gioca una battaglia politica che ha poco a che fare con l’obiettivo di portare il nostro Paese fuori dal ristagno economico. Tutti sanno che l’art. 18 non crea e non conserva neanche un posto di lavoro per i giovani. Poche imprese sono oggi disposte a offrire un contratto a tempo indeterminato a chi entra nel mercato del lavoro. Pesano le incertezze legate all’inserimento e alle capacità dei nuovi assunti, la difficoltà di dimostrare la giusta causa nel caso di risoluzione del contratto e, soprattutto, i costi fiscali e contributivi che gravano sui contratti a tempo indeterminato. La conseguenza è che i giovani si devono accontentare di contratti a termine o a progetto o sono costretti ad aprire una partita Iva sopportando costi esorbitanti. Il contratto a tutele crescenti non sarà la panacea.

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LA GRAN CONFUSIONE TRA CONSERVAZIONE E RIFORMISMO

di Giuliano Cazzola

‘’C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi di antico…’’. A pensarci bene nelle svolte più o meno epocali, riguardanti il diritto al lavoro, emergono sempre, nella linea di condotta dei protagonisti, delle imperturbabili coazioni a ripetere i medesimi errori, sia che si tratti dei vincitori di oggi, già sconfitti ieri, o viceversa.  Nella vicenda dell’articolo 4 emendato - che ha sbloccato il disegno di legge delega Poletti (AS 1428) in Commissione Lavoro del Senato - a battere la grancassa sono gli esponenti della ‘’maggioranza minore’’ (Ncd, Sc, Popolari) che si attribuiscono il merito di avere chiuso i conti con l’articolo 18 dello Statuto e con la reintegra,  la quale, per i nuovi assunti (inclusi quanti cambiano lavoro), resterà unicamente a sanzionare i licenziamenti nulli e discriminatori. 

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