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Dalla Garanzia Giovani agli “Eta Beta”

Il progetto Garanzia Giovani sappiamo tutti com’è nato e quanta enfasi ha messo su di esso il Presidente del Consiglio. Sappiamo anche che esso non può essere la chiave per rispondere alle aspettative di 6 milioni di persone che chiedono lavoro. Ma è possibile che divenga la leva per organizzare meglio l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Infatti, sappiamo che quest’incontro non è fluido. Se ne lamentano sia le aziende sia i giovani in cerca di primo lavoro, sia gli adulti che desiderano cercarne un altro più soddisfacente o devono trovarne un’altro perché disoccupati. E la fluidità riguarda tanto i tempi necessari per individuare la soluzione più soddisfacente, quanto la qualità professionale necessaria.

Il vantaggio che offre Garanzia Giovani è che, ai fini di un miglioramento della fluidificazione della gestione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, non sono necessarie nuove leggi. E’ necessaria, però, tanta buona volontà politica e gestionale. Questo programma europeo può agire da leva in tre mosse:

  • -Un patto nazionale tra Governo e Regioni per il coordinamento delle iniziative, la definizione delle linee guida e soprattutto per assicurare, attraverso i CPI, l’accoglienza come servizio minimo (prima valutazione, primo orientamento); chi vuole e può fare di più (anche l’accompagnamento) lo faccia, chi può fare di meno (per carenza di personale, per esempio) deve farsi affiancare da soggetti privati, tramite convenzioni.
  • -Un patto territoriale tra CPI e intermediari privati per tutorare i giovani, per fare esperienza di lavoro (tirocinio, stage, apprendistato) a cui corrisponderà un bonus collegato al risultato acquisito.
  • -Un intervento aggiuntivo delle Regioni, specie nel Mezzogiorno, per una adeguata presenza di intermediari (ora scarsa o a macchia di leopardo) per dare credibilità operativa al programma.

Non si tratta di caricare sull’attuazione della Garanzia Giovani troppe aspettative, ma neanche di trattarla come una misura una tantum e per di più alla “spera in Dio”. Si tratta di innescare su un’operazione a termine, una prospettiva strutturale. In altri termini, occorre riaprire la discussione sul riassetto della “governance” pubblico-privata del mercato del lavoro. I tempi sono maturi perché ciò accada. Lo stato dei CPI e dell’intermediazione privata non è tutto omogeneo sul territorio: ci sono situazioni di best practices e di degrado profondo. La cassetta degli attrezzi messa in campo dalle Regioni è disomogenea: c’è quella che trabocca di piani formativi e quella che risente di usato arrugginito, c’è quella a “la carte” e quella più connessa al mercato del lavoro. Ma soprattutto la crisi sta trasformando la qualità delle professionalità e dei mestieri. Per tutto questo rivolgimento, c’è bisogno di una ridefinizione della “governance”; essa è possibile se:

  • -Si ridefinisce il mestiere dei CPI; nessuna nostalgia per un ritorno all’antico, quando il collocamento era soltanto pubblico, ma neanche una loro riduzione a “passacarte”. Per le ragioni indicate come essenziali per la “governance”, il futuro dei CPI è quello di diventare una sorta di “eta beta” del mercato del lavoro. Vale a dire un centro di relazioni fitte con tutti gli interlocutori sul territorio impegnati a rendere efficiente l’incontro tra domanda e offerta di lavoro (scuole, università, aziende, sindacati, agenzie d’intermediazione private, enti formativi, ecc.) con capacità di orientamento, valutazione e controllo delle varie attività messe in campo.

 

  • – Vengono appostate dalle Regioni risorse adeguate per assicurare ai CPI le professionalità giuste e la strumentazione più adeguata, a partire da quella informatica, perché possano diventare effettivamente degli “eta beta”. La programmazione 2014/2020 dell’intervento della UE è ormai all’ordine del giorno e quindi le proposte relative ai nuovi POR dovranno essere formulate tenendo conto delle necessità finanziarie per adeguare i CPI.

 

  • -In vista del superamento delle Province, vi sia un orientamento univoco sul destino dei CPI. La cosa peggiore è che ciascuna Regione possa decidere per conto proprio. Ma è altrettanto preoccupante che vengano affidati ai Comuni o loro consorzi, come si sussurra. Meglio affrontare apertamente la questione della formazione di un’Agenzia nazionale federale del lavoro a cui farebbero capo i CPI; si avrebbe finalmente un unico centro di indirizzo e coordinamento delle politiche attive e passive del lavoro.

Le difficoltà non sono di poco conto. Ma se mai si incomincia, mai si potrà finire. Questa è un’occasione per verificare se vi sono le volontà per mettere in campo un cambiamento, se si vuole utilizzare Garanzia Giovani per dare speranza e futuro al lavoro giovanile.

 (*) Nuovi Lavori 

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