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Non solo sperimentazione ma anche inclusione al lavoro

Questo momento di confronto e riflessione è molto importante perché ci offre la possibilità di dibattere pubblicamente su temi che sono spesso assenti dal confronto pubblico. 

Parto con una provocazione: se unificassimo le riflessioni e le proposte emerse dai contributi della prima tavola rotonda della mattinata con quanto aggiunto in questa seconda sessione, potremmo dire di aver già preparato una riforma costituzionale (perché tutti siamo concordi sul fatto che il Titolo V rappresenti uno dei più grandi problemi), una riforma dell’istruzione (nei termini della funzionalizzazione del sistema dell’istruzione secondario e universitario verso l’inserimento nel mercato del lavoro) e di aver condiviso la necessità di un rilancio della  politica industriale (perché tutti siamo concordi nel dire che il tema prevalente è far riprendere la domanda aggregata e quindi andare al di là della mera decontribuzione degli incentivi che troppo spesso drogano il mercato perché costruiscono false convenienze che non guardano alla stabilizzazione del lavoro e falsano la concorrenza tra imprese). 

Potrei dire inoltre che gran parte delle cose che stamane sono state rivendicate come necessarie per uscire dalla crisi sono  presenti nel nostro Paese almeno dal Duemila in poi. Che un giovane che si rivolga ad un Centro per l’Impiego debba essere, entro 4 mesi, convocato per un colloquio o per una occasione lavorativa, ad esempio, è una previsione già esistente nella disciplina del nostro ordinamento sin dall’inizio di questo tormentato secolo. Abbiamo infine, tutti insieme, redatto una Riforma dei servizi per l’impiego, abbiamo costruito un sistema perfetto di servizi per il lavoro: dal 1 gennaio, al milione di soggetti fragili del mercato del lavoro, ai giovani Neet, dovremmo essere in grado di offrire il miglior servizio pubblico qualificato e soprattutto abbiamo un privato concorrente, su standard parametrati e parametrabili, che è in grado di implementare la quantità di servizi che eroghiamo ai nostri giovani!

Ovviamente si tratta di una provocazione: nel senso che un errore che non si può commettere è quello di attribuire all’occasione della Garanzia Giovani una missione più ampia di quella che assegnata alla sperimentazione del programma. Bisogna stabilire per chi deve essere un’occasione la Garanzia Giovani: se per i soggetti a cui è rivolta o per gli operatori che a vario titolo utilizzano il tema per parlare di altro. Il programma è una condizionalità che viene introdotta al nostro sistema di servizi per l’impiego, che prevede una serie di servizi integrativi che dovremmo già prevedere ed aver standardizzato e che sono normale attività in altri Paesi Europei (orientamento, tutoraggio, alternanza scuola-lavoro, incontro domanda-offerta di lavoro, mentoring, formazione, ecc). 

Questa misura che risponde all’urgenza, individuata nel piano straordinario per l’occupazione dei giovani in Europa, di tamponare le conseguenze di una politica economica comunitaria sbagliata, che ha creato immense sacche di disoccupazione, in specie giovanile, è rivolta appunto ai Neet, giovani che non studiano e non lavorano e che prova a “riattivare” la loro speranza ed energia. Siamo contenti del negoziato che il nostro Governo ha condotto con l’UE riuscendo ad attribuire risorse aggiuntive per la sperimentazione della Garanzia Giovani, data la gravità della dimensione sociale che attraversa il fenomeno. 

Se questo è vero, la Garanzia Giovani non può essere considerata il volano di tutte le riforme necessarie al sistema di servizi per i lavoro: dalla riqualificazione dell’offerta alla riforma del mercato del lavoro e dei Centri per l’impiego, la riforma dell’istruzione superiore, un sistema nazionale di certificazione delle competenze che dal 1 gennaio è in grado anche di garantire un’accelerazione sul sistema dell’apprendimento permanente. 

E’ evidente che se agiamo così falliamo l’obiettivo, specie per quello che per noi è il punto di attenzione maggiore: stiamo infatti dicendo, in una stagione come questa, che ai giovani che fanno parte di un segmento particolarmente fragile (da un punto di vista sociale prima che del mercato del lavoro), un sistema pubblico rinnovato e qualificato è pronto ad offrire un patto che è prima di tutto un contratto di attivazione sociale, in cui gli si dice che la cosa fondamentale cioè l’accoglienza e la presa in carico diventa un diritto esigibile. Questo patto di attivazione sociale può avere un effetto molto positivo in termini di riattivazione: gran parte di questa platea di soggetti ha una fragilità prima di tutto nella dispersione scolastica. 

        Abbiamo un sistema che, a seguito delle riforme previdenziali e del mercato del lavoro, ci dice due cose: si allunga il tempo di obbligo di permanenza nel mercato del lavoro fino al raggiungimento dei requisiti previdenziali; si modifica la permanenza in termini di durata e qualità dei contratti di lavoro, di retribuzione e anche una domanda pressante che grava sul singolo di costante aumento nella qualificazione delle competenze. Appare, quindi, fondamentale prendere in tempo i ragazzi che abbandonano gli studi e recuperare questo gap; è la prima grande scommessa per un Paese in cui più di un terzo della popolazione ha solo la licenza media inferiore. 

      In questo quadro, per questi ragazzi, va fatto anzitutto un lavoro di responsabilità: la Garanzia Giovani deve essere un procedimento per cui alla presa in carico corrisponde un primo percorso di attivazione che non può morire in un’esperienza che gli viene concessa in un tempo ridotto. Se un giovane a 16 anni entra in un centro per l’impiego e dopo un colloquio di orientamento, gli si fa un bilancio di competenze e si convince il ragazzo a costruire un contratto individuale in cui si investe nelle sue competenze e nella sua formazione, ciò che si deve determinare è che quel breve percorso di accompagnamento non comporti la fine dell’esperienza. Se all’attivazione del servizio non corrisponde un processo di inclusione sociale, l’elemento di disagio che si verifica è molto più dirompente di quello che si manifesta all’atto dell’orientamento e dell’accoglienza. 

Quindi, in questo momento, il programma Garanzia Giovani, dovrebbe avere  questa attenzione. Il Governo ha scelto di concentrare le risorse nei primi due anni  per capitalizzare al meglio questa occasione, tuttavia avendo un settennio di programmazione 2014-2020 dei fondi europei, la Garanzia Giovani che parte adesso come sperimentazione, se accompagnata da un sistema di monitoraggio in itinere che possa farci apportare correttivi che rendano la sperimentazione sui Neet un servizio stabile nel nostro Paese rivolto ad una disoccupazione giovanile che è cronicizzata, può realisticamente, in una fase avanzata, rappresentare un banco di prova importante per testare il sistema e migliorarlo. 

Quindi, la prima cosa che chiediamo è una coerenza tra la programmazione nazionale e quella regionale, per rendere via via stabile la Garanzia Giovani. La certezza di un flusso di risorse stabili nel tempo, ci dà la possibilità di raccogliere tutta l’utenza che è considerabile Neet allo stato attuale, ma in prospettiva di coprire quote maggiori di disagio, aggredendo anche gli stock. 

Per questo c’è bisogno di stabilire i livelli essenziali delle prestazioni, di stabilire gli standard di qualità dei servizi pubblici. Intanto perché occorre riconoscere che una rete di servizi pubblici in questo Paese esiste, seppure con i problemi già ricordati, quali la carenza di risorse finanziarie e di personale, relativi all’assetto istituzionale ed organizzativo. Occorre dunque agire per consolidare questa rete. 

La panoramica sul pubblico ci darà anche la dimensione su come definire i parametri di accreditamento dei privati, sul cui coinvolgimento siamo d’accordo solo in presenza di un servizio pubblico in grado di elevare lo standard della prestazione. Il privato può concorrere non su tutta la gamma dei servizi, ma su misure definite e concordate, creando un sistema in cui non c’è concorrenza tra pubblico e privato, centrata sull’offerta di lavoro più collocabile e dunque più ambita. Il pubblico deve garantire gli stessi servizi anche alla fascia più debole di disoccupazione, di emarginazione sociale che esula dall’intervento del campo dei servizi per il lavoro e rischia di finire come oggetto di interesse dei soli servizi sociali. 

In conclusione, la Garanzia Giovani agisce in un quadro di prospettive che riguarda il prossimo settennio di programmazione e quindi possiamo coniugare la sperimentazione sui giovani con politiche di crescita e di sviluppo coerenti. In questo, il Piano di Azione 2014-2020 rappresenta un’occasione per coniugare l’organizzazione dei servizi per il lavoro, le linee di sviluppo del Paese e interventi sull’occupazione. 

 

 (*) Segretario Confederale CGIL

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