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Scuole e Terzo Settore da coinvolgere nella politiche del lavoro

Una considerazione di premessa prima di offrire qualche mia breve riflessione sulla “Garanzia Giovani”. Sono convinto che sia utile ed indifferibile un intervento di riforma dei servizi per il lavoro, ma il quadro istituzionale all’interno del quale ci si muove appare ancora incerto. Per fare un esempio, il Ministro Del Rio ci ha comunicato che, entro l’anno, le Province saranno abolite, ma il quadro di attribuzione delle relative funzioni, ulteriormente complicato dell’intreccio con le Aree Metropolitane, anch’esso destinato ad intrecciarsi con la questione della riorganizzazione dei servizi per il lavoro non sembra ancora delineato. E ancora, il Governo stenta a coinvolgere nella costruzione di queste politiche di ingegneria istituzionale anche il livello regionale. Forse perché le Regioni non vanno di moda in quest’ultimo periodo, mentre lo sono  molto di più i Comuni? Se questo è vero, è mai possibile affidare a loro i servizi per il lavoro? Di certo, le Regioni sono necessariamente destinata ad entrare nella governance di questo processo. Insomma, un delicato intreccio di aspetti che dovranno essere chiariti subito e bene. Venendo al merito, osservo che, come  illustrato  nelle  relazioni  di  Sorcioni  e  Caroli,  nel   Mezzogiorno   si   riscontra un’aumento delle persone che ricominciano a cercare lavoro: aumentano i tassi di attività e, di conseguenza, diminuiscono i Neet. Appunto per questo, dobbiamo stare attenti, affinché questa rinnovata fiducia non si traduca in delusione delle aspettative, creando un effetto boomerang. Analogamente, anche tutta la discussione che si sta sviluppando intorno alla “Garanzia Giovani” va affrontata nella consapevolezza che il successo della misura dipende dalla quantità delle risposte che si riusciranno a offrire nell’immediato futuro. Questo perché un intervento legislativo mirato sui giovani e sul miglioramento dell’offerta di lavoro, in un Paese che storicamente non ha una seria politica industriale, rischia di farci convincere dell’idea che la strada maestra per superare la disoccupazione sia quella di dare il lavoro ai giovani attraverso gli incentivi all’assunzione, dimenticando che ciò che serve è soprattutto una solida domanda di lavoro. Tra l’altro, in questi ultimi anni ci si è spesso concentrati soprattutto su incentivi e interventi normativi “a costo zero”, che non hanno tenuto conto di quello che invece ci chiede – sul tema del lavoro – la Comunità Europea e, soprattutto, il mercato e le imprese. Dovremmo, quindi, avere la capacità di focalizzare meglio gli obiettivi, puntando ad una strategia complessiva adeguata alle aspettative che in questo Paese abbiamo sui servizi per il lavoro e, in generale, sul tema dei giovani. Credo che, dopo anni di parole come “occupabilità”, “formazione iniziale” ed altro, il tema vero sia piuttosto quello di concentrarsi sulla parola “occupazione”: mettere a punto strumenti che producano concretamente posti di lavoro. Strumenti collegati direttamente alle possibilità che il mercato offre e ad obiettivi veri: io auspico ad un paese nel quale una persona entra nel centro per l’impiego ed esce almeno con una aspettativa concreta di avere un lavoro. Come si può realizzare? Partiamo da un quadro nazionale di scarsità nelle risorse destinate – seppure con le potenzialità collegate al ciclo di programmazione 2014-2020 – e da un’organizzazione dei servizi per l’impiego di cui sono noti i difetti funzionali, pur con qualche pregio e con esperienze positive. In particolare, quelle strutture hanno oggettivamente limitate funzioni e modeste possibilità di incidere sul mercato del lavoro. In questo contesto si può cambiare rotta soltanto dando vita ad una vera e propria rivoluzione culturale sul tema delle politiche di incrocio tra domanda e offerta di lavoro; secondo me è necessario che il “pubblico” sia soprattutto la cornice generale che propone e governa gli interventi di politica attiva. Io immagino una “mano pubblica” che tiene le fila e una serie di attori, a partire dalle agenzie per il lavoro, che gestiscono i servizi. Ma anche altri attori sono ugualmente necessari per creare quella aggregazione sociale e di rete, fondamentale per superare questa fase di crisi. Se, ad esempio, in Campania non avessimo dato vita ad una situazione di solida coesione sociale con tutto il sistema produttivo e con le Parti Sociali, non avremmo potuto essere capaci di governare una crisi tremenda come questa. Il sistema delle Parti Sociali è peraltro assai interessato alla governance di questi processi, specie nelle su rappresentanze bilaterali per loro natura vocate anche alla formazione professionale. Ancora,  sul tema delle politiche del lavoro vanno realmente coinvolte anche scuole e università: recentemente in Campania abbiamo varato la costituzione di cento Poli Formativi, e la risposta dei sistema dell’istruzione è stata forte e convinta, ricevendo il plauso del Ministero dell’Istruzione. Infine, le politiche per l’autoimpiego – con i loro significativi intrecci col terzo settore – devono deve essere anch’essa parte integrante del modello di costruzione di un moderno sistema di servizi per il lavoro. Ciò che sostiene Borgomeo rispetto ai difetti delle misure relative al Microcredito è giusto: non è possibile dare finanziamenti a chi non ha le competenze per avviare un’attività imprenditoriale. Occorre, dunque, realizzare, all’interno dei servizi per il lavoro, interventi mirati all’accompagnamento e a chi vuole creare impresa. Ma accanto a questa rete di attori, c’è bisogno di strumenti significativi, come la creazione di una adeguata rete informatica. La Campania è l’unica Regione del Mezzogiorno che ha un sistema in grado di dialogare seriamente con Ministero del Lavoro e con le altre Regioni del Centro-Nord che, a loro volta, si sono dotate del nodo informatico di trasmissione delle informazioni. Ora si pensa di intervenire anche su questo. Stiamo attenti: questi meccanismi non possono declinarsi in un logica meramente centralista, perché altrimenti si rischia di costruire seguendo idee lontane rispetto a ciò che ci viene chiesto dai territori. E’ evidente che abbiamo bisogno di politiche coordinate ma, secondo me, questo deve avvenire seguendo la logica proposta di recente dalle Regioni Obiettivo Convergenza al Ministro Giovannini: realizzare assieme le politiche del lavoro territoriali, utilizzando ciò che rimane della programmazione 2007-2013. La nostra idea è stata quella di proporre al Governo una Cabina di regia che sia condivisa sull’indirizzo e la finalità degli interventi e che  ne stabilisca le  regole comuni, ma che poi consenta una declinazione consapevole a livello territoriale. Proprio per questo credo che se vogliamo che la “Garanzia Giovani” dia risultati veri, sia necessario individuare ulteriori strumenti da affiancare a quelli dell’incentivazione già sperimentata in varie aree con ottimi risultati. Strumenti, ad esempio, che siano in grado di direzionare i percorsi di acquisizione delle competenze e di correggere l’evidente mismatching tra domanda e offerta. Ci sono troppi giovani in questo Paese che studiano e si formano in materie delle quali il nostro sistema produttivo non ha urgente bisogno. Non possiamo ancora dire, soprattutto a questi ragazzi che ci hanno creduto, di andare a spendere la loro professionalità altrove, anche perché significherebbe continuare a disperdere l’investimento sul capitale umano e soprattutto uccidere la speranza.

Insomma, c’è un terreno da arare, molto da fare, per trasformare questo progetto in una concreta azione per i nostri giovani.

Per far questo non abbiamo bisogno di idee rivoluzionarie, di uomini soli al comando o di geniali intuizioni, ma di un’azione condivisa tra livelli istituzionali e sistema produttivo e di interventi solidi e concreti.

 (*) Assessore al Lavoro della Regione Campania

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