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Scandalo italiano, i giovani fuggono da un paese senza giovani

Un paese dalle culle vuote come l’Italia dovrebbe essere accogliente per i suoi giovani sulla base della legge della domanda e dell’offerta, un bene raro come i giovani dovrebbero avere più di una opportunità di domanda in casa propria. Non è così! Da più di dieci anni l’Italia, che per la bassa natalità è diventato naturalmente paese di immigrazione, offre un paradosso unico, quello di essere anche paese di emigrazione per giovani che non trovano lavoro in patria 

Anche gli ultimi dati sul movimento migratorio sono sconvolgenti. Nel 2016 sono emigrati dall’Italia 115mila unità di cui 35mila giovani quasi tutti laureati e diplomati. È la peggior notizia sulla salute del nostro paese, salute economica e sociale, antropologica e politica. Sia sotto l’aspetto strutturale, i giovani scappano da un paese vecchio carente di giovani, che sotto l’aspetto tendenziale, il fenomeno è in forte espansione, gli emigrati del 2016 sono 75mila in più del 2010.

Eppure da quasi 40 anni l’Italia ha fortemente ridotto la sua natalità, passando da un milione a meno di 500mila nati ogni anno e questo è il motivo per cui, soprattutto dall’anno 2000 – quando gli effetti della denatalità si sono sentiti sul mercato del lavoro, per ogni 100 anziani che uscivano c’erano solo 50 giovani nati venti anni prima – c’è stato in Italia una immigrazione di quasi 4 milioni di stranieri.

Proprio alla luce di questi dati, la denatalità e la carenza di giovani, il dato paradossale della fuga dei giovani dovrebbe essere in cima alle preoccupazioni dei politici, perché è un dato in controtendenza con l’aumento verticale delle migrazioni mondiali nel secolo della “morte della distanza”, cioè nel secolo dell’aumento della mobilità.

Le migrazioni aumentano secondo una precisa direttiva, partono da paesi in surplus demografico e poveri, Africa, Asia, America latina e si dirigono verso paesi in deficit demografico.

L’Italia è l’unico paese in pesante deficit demografico – ricordiamo che con 1,3 figli per donna e 45 anni di età media della popolazione. Siamo, col Giappone, il paese a più bassa natalità e più vecchio del mondo e quindi in calo di popolazione autoctona.

Perciò l’emigrazione dei nostri giovani è un fenomeno contro natura perché l’Italia, paese con le culle vuote da decenni, ha bisogno ed avrà bisogno per molti anni, almeno di 140mila immigrati l’anno per non vedere fallita agricoltura, assistenza domestica, edilizia, sanità, manifattura, e soprattutto il suo sistema pensionistico, che non sopravviverebbe ad un rapporto tra lavoratori e pensionati di uno ad uno, come si realizzerebbe da qui a venti anni senza un contributo immigratorio netto.

In tutto il mondo le innovazioni sono prodotte soprattutto dai giovani se il sistema dell’istruzione e della ricerca lo consente. Questo non è in Italia, unico paese industriale in cui da anni le spese per istruzione, ricerca ed innovazione si sono ridotte. Per questo l’Italia non riesce a creare “lavori buoni” in settori innovativi adatti ai suoi giovani. 

Il fatto che l’Italia sia ancora un paese con una buona presenza manifatturiera è un fatto positivo, ma non risolutivo per una piena e buona occupazione perché siamo nel pieno della globalizzazione che implica un lento, ma continuo processo di deindustrializzazione.

Oggi producono anche miliardi di cinesi, indiani, etc. che prima della globalizzazione erano pressoché improduttivi. In tutti i paesi industriali la deindustrializzazione è stata compensata da un intensa terziarizzazione e questo non è avvenuto in Italia, dove il peso dei servizi è inferiore al 70%, cioè di cinque punti sotto la media dei paesi industriali.

L’insufficiente sviluppo del terziario italiano non si riflette solo sulla disoccupazione giovanile ma anche sulla qualità della domanda di lavoro. Nei servizi la quota di laureati e diplomati è doppia. Inoltre quasi tutti i Servizi presentano saldi con l’estero negativi, l’Italia finanzia ricchezza e lavoro estero più di quanto ce ne venga.

Tre sono le mosse da fare per combattere la fuga dei giovani.

  • Qualità, solo incentivando produzioni di qualità in tutti i settori, agricoltura, industria e servizi, si creano lavori di qualità.
  • Terziarizzazione. Un piano industriale dei Servizi ad alto valore aggiunto è necessario per creare lavori di qualità in numeri significativi.
  • Redistribuzione del lavoro. Riprendere il processo di riduzione della durata annua del lavoro, passato in cent’anni da 3000 a 1600 ore annue, per prima cosa abolendo gli straordinari, sostituendoli con la banca delle ore come ha fatto la Germania o facendoli costare molto come fa la Francia con le 35 ore.

L’Italia è il paese europeo dove si fanno più straordinari anche perché è l’unico paese dove lo straordinario costa meno del lavoro normale.

Perciò bisognerebbe cancellare lo scandalo che vede un paese ad alta disoccupazione con orari annui di lavoro nettamente maggiori di paesi a più alta occupazione, 1800 ore contro le 1400 di Germania, Francia, Olanda, Svezia (dati OCSE).

 * Presidente della Società di Business Intelligence Onegis di Roma

 

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