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Le proposizioni errate del sovranismo no euro*

L’Italia sta male, la colpa è dell’euro, uscendo dall’euro si risolvono i problemi.

I sovranisti no euro sono molto abili a concentrare il 90 percento dei loro argomenti sul primo punto suscitando commozione e generando empatia (chi può negare i problemi economici?). Anche se l’argomento “l’Italia sta male” sanno poi rivoltarlo a piacimento. Quando si dice che l’Italia avrebbe problemi una volta uscita  dall’euro i sovranisti sostituiscono la narrativa negativa con una positiva. L’Italia ce la può fare, è forte, si ricordano che è uno dei maggiori esportatori mondiali (nonostante l’euro) e che il risparmio e la ricchezza privata sono molto elevati.

Sul secondo e sul terzo punto i sovranisti si soffermano molto meno. Il secondo e il terzo punto sono falsi. Di seguito spieghiamo perchè.

 

2.       Una volta recuperata la sovranità monetaria sarà possibile stampare tutta la moneta di cui abbiamo bisogno per sostenere il deficit pubblico

Le banche centrali non sono onnipotenti e c’è un limite alla stampa illimitata di moneta. La fiducia nella stessa da parte di chi la usa e l’inflazione. Non a caso la storia economica recente è piena di stati con la sovranità monetaria che hanno pigiato troppo sull’acceleratore e sono finiti in crisi. Come ha sottolineato efficacemente Fabio Scacciavillani su questo punto nel suo blog sul Fatto Quotidiano “il Technical Report 101 della Banca del Canada Database of Sovereign Defaults, 2017, di Beers e Mavalwalla, che riporta i dati delle bancarotte di Stati sovrani, per lo più battenti moneta sovrana, dal 1960 al 2016.

Nel 2016 su 214 Paesi censiti, 80 (dicesi ottanta) erano in bancarotta, cioè il 37% del totale. E il 2016 è stato un anno positivo se paragonato ad esempio al 2008, in cui su 213 Paesi, ben 102 (il 48% del totale) erano in bancarotta. Comunque meno orribile del 1998, quando su 210 Paesi, 113 (54% del totale) non erano in grado di onorare i debiti con istituzioni pubbliche, con banche, con privati o con organismi internazionali.

Negli anni tra il 1989 e il 2003 (con l’eccezione del 1991) furono più i Paesi in bancarotta che quelli in regola con i creditori.”

 

3.       Con l’euro l’unica via per essere competitivi è la deflazione salariale. L’euro è responsabile del calo del tenore di vita dei ceti medio-bassi in Italia.

A parte il fatto che, a livello individuale, se si cresce nelle competenze, i salari salgono; nel mondo globale della rivoluzione digitale non è l’euro che comprime i salari verso il basso ma la presenza di un esercito di riserva di lavoratori a bassissimo costo. Che fa precipitare in una spirale verso il basso i salari dei lavoratori a medie e bassa competenza anche nei paesi che hanno sovranità monetaria (basta vedere quello che accade negli Stati Uniti che hanno una “supersovranità monetaria” emettendo moneta di riserva mondiale). Non a caso Trump ha vinto le elezioni anche su quel malcontento e agita confusamente la minaccia dei dazi per cercare di difendere il tenore di vita dei lavoratori poco specializzati nel suo paese.

 

4.       Italexit è l’unica via per rimettere l’Italia nella giusta rotta.

Al Nord ci sono regioni che viaggiano a ritmi tedeschi e quasi in piena occupazione. Al Sud la situazione è difficilissima. Sia al Nord che al Sud non c’è la nuova lira ma l’euro. E’ possibile stare dentro l’euro crescere e prosperare. E gli esempi che abbiamo non sono poi così lontani.

L’uscita unilaterale dell’Italia dall’euro è come iniziare la restaurazione di una casa un po’ vecchiotta abbattendo la trave portante. Le conseguenze come è noto, e come ammettono gli stessi noeuro, sono default del debito pubblico, rischi di fallimenti a catena di banche e imprese indebitate in euro con ricavi in lire, svalutazione e rischio inflazione che riducono il potere acquisto dei cittadini.

 

5.       Lo spread è un complotto.

Lo spread non è un complotto internazionale. E’ la media della fiducia di chi ci fa credito finanziando il nostro debito pubblico (piccoli risparmiatori italiani, piccoli risparmiatori esteri, investitori istituzionali italiani ed esteri, Banca Centrale Europea). La guerra contro lo spread è anche la guerra contro la casalinga di Voghera e ai nostri risparmi. Se lasciamo intendere che abbiamo in mente di uscire unilateralmente dall’euro chi ci finanzia capisce che i titoli italiani che possiede sono a rischio e lo spread sale. Sta a noi non dare questo messaggio irresponsabile.

 

6.       Politiche espansive in un regime di cambi fissi non sono possibili perché ci portano nel tempo allo squilibrio della bilancia commerciale e delle partite correnti.

In economia non esistono determinismi e ci sono molte vie per arrivare ad un obiettivo. L’Italia è il secondo maggiore esportatore dell’area euro. Cosa dovrebbero dire gli altri? 

 

Cosa fare allora?

Da oggi bisogna subito mettere in chiaro due schieramenti in campo. Quelli che vogliono uscire dall’euro unilateralmente e quelli che invece s’impegnano a mantenere deficit e debito entro percorsi di graduale rientro, lavorano per far ripartire la crescita del paese e s’impegnano a rinegoziare l’architettura europea dando piena assicurazione che non saranno tentati da avventurismi ed estremismi.

 

 

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