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Attenti a non scambiare lucciole per lanterne

‘’Inoltre è necessario riordinare il sistema del welfare prevedendo la separazione tra previdenza e assistenza’’. Così sta scritto anche nel contratto giallo-verde. C’era da aspettarselo. I fratelli De Rege (Luigi Di Maio e Matteo Salvini) della politica italiana non si sarebbero mai fatta scappare una delle più grandi ‘’leggende metropolitane’’ in circolazione da decenni nel dibattito previdenziale. 

A mio avviso, i sostenitori della suddetta separazione sono come quei soldati giapponesi che, ogni tanto, venivano scoperti in qualche isola deserta a proseguire la guerra da soli. Ma, si sa,luoghi comuni, ripetuti all’infinito, si trasformano in verità quasi rivelate. Il problema è posto nel tentativo di mistificare la realtà: una volta realizzata la c.d. separazione tra assistenza e previdenza, si vedrà – affermano i <luogocomunisti> – che i conti della seconda (leggi: del sistema pensionistico) sono in ordine, mentre la questione della sostenibilità della spesa dipenderebbe tutta dal fatto che le gestioni previdenziali dell’Inps sarebbero gravate dal saprofita dell’assistenza. Li avrete visti anche voi i sindacalisti (quando ancora li chiamavano in tv) ad affermare, con una sicumera intemerata, che la previdenza è in equilibrio con i conti e che la parte del <cattivo> spetta all’assistenza? Per questi motivi è necessario – aggiungevano col fare dotto di chi concorre al premio Nobel per l’economia o si accinge a svelare all’umanità l’ultimo segreto di Fatima – arrivare, nel bilancio dell’Inps, alla separazione tra i due settori al più presto. 

A parte il fatto che ovunque la spesa pensionistica è una sola a prescindere da come la si finanzia (con i contributi o con le tasse), in Italia si è andati molto avanti sul terreno della c.d. separazione. Le entrate contributive dell’Inps nel 2017 (consideriamo l’avvenuta incorporazione dell’Inpdap e dell’Enpals con le relative conseguenze sul bilancio) ammontavano ad oltre 224 miliardi di euro, i trasferimenti dal bilancio dello Stato a poco più di 110 miliardi, la maggior parte in quota GIAS o destinata al settore dell’invalidità civile (in larga prevalenza per l’indennità di accompagnamento). 

E’ bene chiarire subito che i trasferimenti dal bilancio dello Stato non costituiscono un ‘’buco’’ nei rendiconti dell’Inps, ma sono entrate regolari che vanno a finanziare gestioni e prestazioni poste dalla legge a carico dello Stato. Ma come si è arrivati a questo punto sarà bene raccontarlo. Perché in questo caso è dovuta intervenire la ‘’manona’’ di una legge. 

Partiamo però dai ‘’fondamentali’’. I concetti di previdenza ed assistenza trovano riferimento nell’articolo 38 della Costituzione. L’assistenza è disciplinata dal primo comma che recita: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”. La previdenza è regolata, invece, dai commi secondo e quarto”. Il primo di questi stabilisce che i lavoratori hanno diritto che siano “preveduti” ed “assicurati” mezzi adeguati alle loro esigenze nel caso in cui si verifichino alcuni rischi meritevoli di protezione sociale; il secondo dispone che ai compiti indicati provvedano “organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato”. Per comprendere la differenza è sufficiente notare che, nel caso della previdenza, i diritti sono riconosciuti ai lavoratoriai quali spettano le classiche prestazioni previdenziali in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria; mentre le prestazioni assistenziali (il diritto al mantenimento e all’assistenza sociale) si riferiscono al cittadino, purchè inabile al lavoro (e quindi impossibilitato ad accedere al principale requisito della cittadinanza sociale) e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere. 

E’ questa la cornice giuridica da cui si ricava quali prestazioni, nell’ambito dei trasferimenti monetari, possono definirsi assistenziali: hanno certamente questa natura l’assegno sociale per gli anziani privi di adeguato reddito proprio e di trattamento previdenziale (finanziato, cioè, da versamenti contributivi) e la pensione di invalidità civile a beneficio delle persone handicappate. Nel campo delle prestazioni pensionistiche è riconosciuta la natura previdenziale alle classiche prestazioni IVS (invalidità, vecchiaia e superstiti).  

Nel tempo, tuttavia, è aumentato l’apporto dello Stato alla spesa pensionistica tanto che all’idea di assistenza finiscono per essere riferite le prestazioni, erogate dall’Inps il cui finanziamento è posto, dalla legge, a carico della fiscalità generale e che sono raggruppate in un’apposita gestione (GIAS) nell’ambito del bilancio Inps. In tal senso si è pronunciata anche la Corte Costituzionale. Nella sentenza n.157 del 1980 la Consulta ha affermato che “l’istituzione della pensione sociale si inquadra nell’attuazione del primo (non del secondo) comma dell’articolo 38 Cost.” e che “la natura assistenziale della pensione sociale è fra l’altro sottolineata dal fatto che essa è a carico dello Stato”. Ne deriva la seguente considerazione: essendo la pensione sociale sicuramente una prestazione di natura assistenziale, se la Corte ha ritenuto di qualificare in tal modo la prestazione in ragione del suo finanziamento a carico della fiscalità generale, ciò significa che anche la tipologia del finanziamento è un requisito da prendere in considerazione per valutare la natura, previdenziale o assistenziale, della prestazione. Si ricordi, poi, quanto disposto con sentenza n.34 del 1981 a proposito del trattamento minimo (una prestazione che rappresenta plasticamente l’intreccio spesso inestricabile tra previdenza ed assistenza). La Corte ha confermato che la determinazione e l’adeguamento dell’istituto dell’integrazione al minimo sono rimessi alla discrezionalità del legislatore.  Il principio della separazione tra assistenza e previdenza ha trovato attuazione nella legge n. 88/1989 che ha riformato in tal senso la struttura del bilancio dell’Inps. In particolare – oltre alla Gestione delle prestazioni temporanee, che eroga le prestazioni contro la disoccupazione involontaria, la Cig ordinaria, gli assegni al nucleo familiare, l’assistenza alla malattia e alla maternità, nell’ambito del Comparto dei lavoratori dipendenti –  venne istituita (art. 37) la già ricordata Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno al reddito (GIAS) che divenne il collettore degli apporti dal bilancio dello Stato a quello dell’Inps. Così, una serie di prestazioni (pensioni sociali, agevolazioni contributive, prepensionamenti, quota parte per ciascuna mensilità di pensione, ora anche agevolazioni agli esodati, ecc.) furono poste a carico dello Stato, il quale si accollò anche l’onere di ripianare il debito accumulato dall’Istituto (17.650 miliardi di lire nel 1986 a copertura del disavanzo patrimoniale al 31 dicembre della Cig e a copertura parziale dei disavanzi patrimoniali al 31 dicembre 1986 del Fpld e della Gestione  Coltivatori diretti (Cdcm) per 20mila miliardi di lire nel 1987 e 40mila nel 1998).  

Così, già dal 1989 i bilanci delle gestioni Inps furono predisposti secondo le nuove direttive, che prevedevano una ricomposizione funzionale delle attività con riferimento alla loro natura previdenziale o non previdenziale. Per mostrare l’influenza delle nuove regole lo stesso Inps formulò una simulazione assai interessante dimostrando che in un eventuale rendiconto per il 1989, redatto secondo i previgenti criteri, la previdenza – intesa come la somma di tutte le gestioni previdenziali – anziché avere un saldo attivo di 155 miliardi di lire (come risultava in conseguenza della riforma della struttura del bilancio) – avrebbe avuto un passivo di oltre 11mila miliardi di lire. A sua volta, l’intervento a carico dello Stato anziché avere un passivo di 10mila miliardi, avrebbe avuto un attivo di 1.200 miliardi di lire. 

Va riconosciuto, tuttavia, che gli effetti della legge n. 88/1989 furono importanti nel determinare – sia pure ope legis– un processo di risanamento del bilancio Inps, sia attraverso l’istituzione del Comparto dei lavoratori dipendenti che, accorpando Fpld e Gpt, finiva per compensare le passività del primo con il saldo attivo della seconda e per realizzare un risultato complessivo positivo; sia grazie alla GIAS che aveva il compito di raccogliere le prestazioni più critiche, poste a carico della fiscalità generale. Sulla via della separazione tra previdenza ed assistenza vanno segnalati due interventi molto importanti: il primo contenuto nella legge n. 449/1997 (la Finanziaria per il 1998); il secondo nella legge n. 448/1998 (la Finanziaria per il 1999). Nel primo caso, a seguito di un negoziato del Governo Prodi con le organizzazioni sindacali, furono ridisegnati i confini tra due settori, spostando nel campo dell’assistenza (e quindi del finanziamento di natura fiscale), oltre ad ulteriori trasferimenti (per 1.773 miliardi di lire) e all’adeguamento degli oneri di cui all’articolo 37 legge n. 88/89 (per 664 miliardi), la copertura degli oneri delle pensioni d’invalidità ante 1984 (per 6mila miliardi di lire), degli oneri delle pensioni Cdcm ante 1989 (per 3.782 miliardi di lire). Venne, altresì, stabilito che lo Stato avrebbe garantito la copertura piena alla GIAS, la quale da allora in poi sarebbe stata, per definizione, in pareggio. Così è avvenuto. 

La legge n.448 dell’anno successivo fece il resto, nel senso che stabilì il superamento della pratica delle anticipazioni di tesoreria, usate al posto dei trasferimenti dovuti e sancì la cancellazione (articolo 35) del debito pregresso accumulato a tale titolo dall’Inps. Si trattò di un’operazione da 160mila miliardi di lire. Il bilancio dell’Inps ricevette un notevole beneficio, in termini di risultato d’esercizio, per effetto della integrale finanziamento della GIAS; quanto alla situazione patrimoniale passò da un dato negativo di 99mila miliardi di lire nel 1997 ad uno positivo di 24mila miliardi di lire al 31.12.1998 per effetto dell’articolo 35 della legge n. 448/1998 che stabilì che le anticipazioni di tesoreria concesse dallo Stato all’Inps fino al 31.12.1997 dovessero essere trasformate in trasferimenti definitivi.  In seguito confluirono nella GIAS altre prestazioni (esempio: il ripiano del Fondo FS – che costituisce senza ombra di dubbio una istituzione previdenziale – viaggia nell’ordine di oltre 3,5 miliardi di euro l’anno) man mano che i relativi compiti erano trasferiti all’Inps. 

Al dunque, dopo quest’insieme di operazioni che hanno lasciato il segno nella contabilità nazionale, è sempre più difficile attribuire, in via di principio, una prestazione al settore dell’assistenza piuttosto che a quello della previdenza secondo i canoni dell’articolo 38 Cost. Si può dire senza tema di smentita che oggi le prestazioni assistenziali vengono considerate tali non in base alla loro natura, ma se il loro finanziamento è a carico della contribuzione oppure dei trasferimenti dello Stato. Ma sotto questo aspetto la fiscalità generale si è già sobbarcata oneri considerevoli. In poche parole: potremmo dire che ‘’ha già dato’’. 

Le si chiede di dare di più di quanto si è continuato a fare in tutti questi anni (si veda il pacchetto Ape, la c.d. quattordicesima, ecc.) e di mettere a carico dei trasferimenti dal bilancio dello Stato tutto ciò che il bilancio dell’Inps non riusciva a coprire? Non è proibito. Ma almeno si chiamino le cose con il loro nome. E non si contrabbandi per assistenza quella che è comunque spesa pensionistica, al solo scopo di rappresentarne una minore incidenza sul Pil. Non è l’assistenza a gravare sulla previdenza. È quest’ultima a ricevere un aiuto dall’altra.

 (*) Giuslavorista, blogger di Start Magazine

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