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Una manovra che guarda troppo al breve periodo

La manovra del Governo ci ha fortemente deluso e ci preoccupano gli effetti principalmente perché ha una visione di breve periodo, non affronta nessuno dei fattori italiani di forte ritardo e crea ulteriore deficit che si trasformerà inevitabilmente in debito, in quanto la crescita ipotizzata prima all’1,5% poi all’1% appare non realistica in considerazione del contesto esterno e dell’assenza di stimoli strutturali alla crescita.

 

In più è stata creata un’ipoteca sulla futura manovra, rinviando nel tempo la questione delle clausole di salvaguardia dell’IVA per il 2020 e 2021, che se non disinnescate (secondo le stime servirebbero circa 23 miliardi per il 2020 e quasi 30 miliardi per il 2021), faranno fare un balzo impressionante alle aliquote che contrarranno i consumi rallentando ancora di più la nostra economia che già presenta segnali recessivi. 

 

Al contrario sulle tre questioni principali che dovrebbero essere affrontate e che sono: la nostra bassa crescita che rimanda a problemi strutturali e quindi agli investimenti e alla competitività; la necessità di sostenere il lavoro, le retribuzioni e la creazione di occupazione; il bisogno di concertare con l’Europa una politica di bilancio comune anziché aumentare il deficit nazionale per spesa corrente non ci sono risposte.

 

Come dimostra l’andamento del differenziale tra i tassi dei nostri titoli del debito pubblico e quelli tedeschi (spread) stabilmente al di sopra dei 250 punti (oltre 100 punti in più di aprile 2018), gli investitori confermano l’innalzamento del rischio paese e, conseguentemente, si materializza la crescita rilevante dell’onere da sostenere in fase di rinnovo dei titoli sovrani. Cioè, in pratica, ulteriori costi per lo Stato, quindi per tutti noi, che incrementeranno il debito pubblico o imporranno tagli e minori investimenti.

 

La manovra elude tutte le questioni fondamentali per lo sviluppo del paese a partire dai temi del lavoro, delle pensioni, del fisco, degli investimenti per le infrastrutture, delle politiche per i giovani, per le donne e per il mezzogiorno, dell’offerta educativa e formativa, del raccordo scuola-lavoro e il Governo ha imboccato questa strada senza alcun confronto con le parti sociali, nonostante il Premier Conte avesse effettuato un’apertura in tal senso.

 

La proroga degli ammortizzatori sociali l’avevamo colta come un segnale positivo, ancorché insufficiente, che potesse aprire al confronto che poi non c’è stato.

 

Anche reddito di cittadinanza e quota 100, che sono le principali misure contenute nella manovra contengono molte contraddizioni. Se da un lato il ridimensionamento delle risorse destinate allo scopo attraverso questo strano meccanismo dei vasi comunicanti tra le due previsioni che riguardano ambiti distinti, deciso dopo la conclusione del negoziato con la UE, non si comprende come sia conciliabile con la platea interessata e le prestazioni previste (infatti pare ci sia una clausola di spesa che imporrebbe al raggiungimento del tetto previsto il ridimensionamento delle prestazioni), dall’altro  il permanere di forti ambiguità soprattutto in merito alla parzialità dell’approccio e all’affidabilità degli effetti positivi previsti fa prevedere scarsi risultati, se non addirittura paradossali.

 

Per il reddito di cittadinanza, affinchè sia davvero una misura di politica attiva e non un semplice sussidio privo della possibilità di modificare concretamente la condizione delle persone, mancano le strutture che lo consentano. I paesi nei quali sono stati introdotti strumenti di politica attiva analoghi si è proceduto a programmare precedentemente gli investimenti pluriennali che sono necessari per realizzare le strutture, le competenze e le condizioni del mercato del lavoro necessarie.

 

A meno che qualcuno non pensi seriamente che, come per miracolo, i centri per l’impiego si possano radicalmente trasformare in pochi mesi, le assunzioni e le competenze indispensabili si effettuino e creino facilmente e l’offerta di lavoro possa prescindere dalla crescita. 

 

La creazione di lavoro viene prima della sua offerta e per promuoverla serve tutto ciò che nella manovra manca: investimenti fisici e immateriali in infrastrutture (grandi collegamenti interni e con gli altri paesi, mobilità urbana, connessione intermodale, autostrade informatiche), in innovazione, ricerca, scuola e formazione. 

Tutto ciò vale per l’intero Paese, ma ancora di più per il mezzogiorno e le isole che scontano profondi ritardi come i dati dimostrano. 

 

Non è un caso che con riferimento alle tre offerte di lavoro previste dal reddito di cittadinanza, pare sia previsto un raggio chilometrico crescente, entro il quale debbano essere accettate eventuali proposte, rispettivamente di 100 chilometri, 200 chilometri e infine senza limite. Ancora una volta, si evince che l’assenza di confronto con le parti sociali, cioè con chi conosce il mondo del lavoro, non ha consentito di valutare molti aspetti determinanti per l’impiegabilità delle persone, che riguardano la disponibilità e la convenienza a spostarsi, ma anche l’interesse delle imprese ad assumere persone che risiedono lontano.

 

Faccio presente un aspetto: tre offerte di lavoro per circa 5 milioni di persone significa che dovrebbero essere offerti 15 milioni di posti di lavoro e lo ritengo altamente improbabile soprattutto al sud, con la conseguenza che potranno essere indirettamente favoriti il lavoro nero e fenomeni migratori non motivati dall’offerta di lavoro qualificato. Entrambe sono condizioni non augurabili e potenzialmente generatrici di problemi sociali.

 

La povertà non è una questione solamente economica e non si abolisce per decreto. Servono infrastrutture sociali, strumenti di coesione, inclusione e solidarietà a partire dalla sanità e dal welfare universali, crescita culturale e professionale, un sistema produttivo in salute e validi strumenti d’incrocio domanda-offerta.

 

Quota 100, come abbiamo sempre affermato, è una possibilità in più, che per altro discrimina, di fatto, le donne e in particolare quelle del sud, perché non hanno continuità contributiva. Avrebbe quindi richiesto qualche aggiustamento come ad esempio la valorizzazione della maternità come avevamo suggerito. Ciò nonostante, per noi poteva essere una prima base di ragionamento utile, ma è bene chiarire che non creerà in automatico posti di lavoro per altri, come sa bene chi conosce il funzionamento dell’economia e del mercato del lavoro.

 

Inoltre non affronta tutti i temi legati alla previdenza che riguardano i giovani (continuità contributiva e previdenza complementare) e i lavori usuranti e di cura. E’ sperimentale, quindi provvisoria, e non crea certezze per le scelte delle persone e la programmazione delle imprese che, al contrario, hanno necessità di regole stabili.

 

Anche in questo caso l’impedimento assoluto di lavorare per i primi 5 anni dall’uscita potrebbe generare lavoro nero, soprattutto nel segmento delle alte professionalità, in attesa che si possa poi formalizzare in qualche modo l’attività svolta.

 

E potremmo fermarci qui, perché le risorse impegnate dalla manovra, per altro per buona parte in deficit, sono in larga misura assorbite da questi due provvedimenti sommati alla sterilizzazione delle clausole iva per il solo 2019.

 

Infine, voglio però soffermarmi sulla questione fiscale che ha introdotto la tassa piatta per le sole “partite iva” e per i professionisti, il cui reddito sarà cosi tassato in modo differente da quello analogo di altri cittadini. Quando si modificano le regole fondamentali, che qualificano il patto tra cittadini e Stato, occorre procedere con riforme strutturali che non trascurino nessuno e si fondino su principi di equità e giustizia sociale. Se salta questo principio, si mina uno dei presupposti fondamentali di unità e identità comune.

 

L’intervento del Governo è perciò sbagliato perché fortemente iniquo (solo per qualcuno e senza progressività), ma anche perché non rilancerà né i consumi, né gli investimenti. Se da un lato l’appesantimento fiscale per le imprese, soprattutto quelle medie e grandi che per inciso sono quelle che innovano maggiormente non è una scelta opportuna, dall’altro i redditi da lavoro e da pensione che sostengono il 90% del carico fiscale sono stati totalmente ignorati, pur avendo subito gli effetti molto penalizzanti della lunga crisi. 

 

E’ un colossale problema di giustizia, come si evidenzia, ma anche economico perché si rischia di innescare una spirale ulteriormente negativa che deprimendo i consumi penalizzi ulteriormente la crescita, gli investimenti e conseguentemente i salari e l’occupazione.

 

In sostanza, dal profilo della manovra parrebbe quasi che il Governo si dia un orizzonte breve, che mal si concilia con la creazione dei presupposti per il rilancio del nostro paese, ma chi Governa ha il dovere di guardare al lungo periodo per progettare il futuro. Ciò che saremo domani e che tipo di opportunità potremo offriremo ai nostri ragazzi e a tutti i cittadini indipendentemente dal loro luogo di nascita o di residenza, dipenderà anche e soprattutto dalle scelte di oggi.

*Segretario Confederale CISL

 

 

 

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