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L’economia al tempo del Coronavirus

L’impatto economico del Coronavirus.
Quella che viviamo non è una recessione qualunque. Come efficacemente ha scritto Le Monde l’economia si trova in una situazione di blocco cardiaco, semmai di coma assistito. L’emergenza sanitaria ha un impatto violento sull’economia italiana in un momento già segnato dalla stagnazione produttiva. Per evitare la diffusione del contagio è stato necessario vincolare i comportamenti e la quotidianità delle persone, per rendere minimi i contatti (#iorestoacasa), spostando il più possibile i processi organizzativi sul lavoro da casa, rallentando, ma anche fermando le attività economiche, esperienza sconosciuta in tempo di pace. Da fine gennaio 2020 il sistema produttivo ha avuto shock via via più forti, sia dal lato della domanda che dal lato dell’offerta. Sul primo vi è stata una brusca frenata e poi la chiusura di interi settori, il turismo, la ristorazione, i bar, la gran parte del commercio, l’intrattenimento e la cultura; né può essere trascurata la forte caduta dei trasporti, da quelli urbani a quello ferroviario e aereo. Sempre dal lato della domanda possiamo segnalare la riduzione delle esportazioni, che al rallentamento globale ha unito gli effetti psicologici sugli acquirenti esteri e la chiusura almeno temporanea di alcune frontiere.  Dal lato dell’offerta vi sono state prima le difficoltà di approvvigionamento di componenti e prodotti intermedi provenienti dalla Cina e poi via via la restrizione agli spostamenti delle persone; quindi la ricerca di modalità di lavoro che garantissero condizioni di sicurezza, la chiusura prima volontaria dell’attività e poi obbligata per le attività non essenziali.

Alcune parti del sistema economico sono un po’ meno esposte alla crisi del coronavirus o addirittura favorite. I consumi alimentari nel breve termine sono sostenuti da forti acquisti a scopo precauzionale; la decisione di fare scorte da parte delle famiglie è collegata ai timori che la macchina produttiva, quella dei trasporti e distributiva non siano in grado agevolmente di superare le problematiche legate al virus. In generale si è avuto un aumento della domanda di prodotti alimentari, ma non per quelli consumati fuori casa e anche sul lato dell’offerta non sono mancati i problemi, a cominciare dalla difficoltà a procedere ai raccolti per la mancanza di manodopera immigrata, solitamente impiegata. D’altra parte, se sono cresciuti i consumi interni provenienti dal settore agro alimentare, su questo ha agito, almeno in una prima fase, la caduta dell’export innescata prima dallo stigma per l’esplosione da noi del contagio, ingiustificatamente riflessosi sugli stessi prodotti, poi dalla chiusura delle frontiere. E’ molto alta la domanda nel settore della detergenza e dei prodotti per la pulizia; lo stesso consumo di acqua è segnalato in forte crescita. Rimane naturalmente elevata la domanda dei prodotti farmaceutici e sanitari. Come pure la riorganizzazione delle relazioni di lavoro, ma anche personali, sul perno della casa, hanno determinato un’elevata domanda da parte di imprese e famiglie di computer, di tablet, di supporti tecnologici vari, ma anche di servizi informatici a distanza. Il decollo del lavoro agile, sempre annunciato, ma sempre poi rinviato, è esploso da un giorno all’altro, richiedendo un adeguamento improvviso, a volte improvvisato. In risposta alla chiusura fisica sul territorio di tanti esercizi e alla necessità di stare in casa, il distanziamento sociale ha costituito un forte moltiplicatore per gli acquisti sulle piattaforme on line come Amazon, come pure di servizi di formazione e intrattenimento a distanza.

Ma se c’è qualche segno più, in una dimensione essenzialmente di nicchia, la crisi è esplosa allargandosi a macchia d’olio. L’impatto stimato in termini di PIL ha avuto un’escalation simmetrica rispetto al peggioramento e all’allungamento dei tempi della crisi sanitaria. Si era partiti agli inizi di febbraio intravedendo una caduta di 2-3 punti di PIL tra primo e secondo trimestre 2020. Ma poi le cose si sono complicate, con tempi decisamente più lunghi per arginare il contagio, ma soprattutto per tornare ad una faticosa normalità. 

 

I dati dei consumi elettrici, registrati da Terna e elaborati nel grafico da REF

Ricerche, hanno mostrato una situazione poco variata a febbraio e nei primi giorni di marzo; successivamente la caduta è stata ripidissima a partire dal 9 marzo e poi in ulteriore approfondimento nelle due settimane successive. Alla fine i consumi elettrici sono stati a marzo i più bassi degli ultimi venti anni, ma bisogna considerare che nella prima parte del mese erano ancora relativamente normali; è da aprile in poi che la caduta si farà sentire pienamente, con un calo che supera largamente il 20 % rispetto all’anno precedente. Andamenti non dissimili sono registrati per i consumi di gas per uso industriale, che nell’ultima settimana di marzo sono diminuiti del 30 per cento rispetto al corrispondente periodo del 2019.  Il traffico autostradale nella prima settimana di aprile è stato inferiore dell’80% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Il Centro Studi della Confindustria, nella sua previsione del 31 marzo, ha valutato una caduta del PIL del secondo trimestre del 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019 del 10%; alle regole attuali, ci sarebbe un calo del PIL italiano per ogni settimana di blocco dello 0,75%, cioè del 3,2% per ogni mese di blocco alle regole attuali. Le stime di REF ricerche sono anche peggiori per il secondo trimestre; ipotizzando una graduale riapertura a maggio e poi progressivamente a giugno, la caduta sarebbe del 17% rispetto al IV trimestre 2019.

Le previsioni per il corrente anno e per il 2021 sono quanto mai complesse in quanto devono rispondere ad una domanda a cui nemmeno gli epidemiologi sanno dare valutazioni precise: in quale scenario sanitario ci troveremo dopo giugno? La pandemia sarà in linea di massima sotto controllo oppure la nostra normalità, quella delle imprese e di chi lavora sarà condizionata? 

 

Con la caduta del PIL saranno coinvolte tutte le componenti della domanda: consumi delle famiglie, esportazioni e naturalmente investimenti.

L’impatto in termini annui dipende naturalmente da quanto tempo durerà la crisi e da come usciremo da essa. Lo scenario più ottimistico è quello di una durata complessivamente ridotta della crisi, un paio di mesi, e un’uscita rapida per un recupero completo della normalità di vita; anche in questo caso il dato annuo del PIL scivola largamente sotto lo zero. Il rimbalzo dei consumi attualmente compressi non potrebbe recuperare che una piccola parte del terreno perduto, anche se volessimo recuperare rapidamente i consumi non realizzati durante l’isolamento. D’altronde, dove la domanda è stata elevata durante la crisi sanitaria (consumi alimentari, farmaceutica, informatica) si sconterebbe un inevitabile realizzo delle scorte.

Ben peggiore sarebbe lo scenario con tempi di recupero più lunghi e una normalizzazione molto diluita. Anche se, passata la fase acuta, sarebbe questo lo scenario di un possibile ripresentarsi del contagio, di mancanza del vaccino e di farmaci che abbattano la pericolosità del virus. Se, cioè, dovessimo uscire dalla fase più critica, ma con la prospettiva di un possibile ripresentarsi del contagio, tutti i comportamenti, anche forse a prescindere da provvedimenti coercitivi, resterebbero certo caratterizzati dalla prudenza, dall’avversione al rischio. La ripresa dei consumi e degli investimenti sarebbe decisamente al rallentatore. Questo tanto più se lo shock temporaneo avesse comportato conseguenze strutturali con fallimenti e chiusure d’impresa da un lato, caduta dell’occupazione e dei redditi dall’altro. 

Un forte elemento di rischio è dato da quella che sarà la recessione nel resto dell’Unione Europea, negli Stati Uniti, a livello mondiale. Naturalmente molto può fare una politica economica di stabilizzazione, che tutti riconoscono essenziale a livello nazionale e soprattutto europeo.  Anche rispetto alla presenza ingombrante, ancor più delle regole di stabilità, di un elevato debito pubblico, reso ancora più evidente dalla caduta dell’attività economica.

Anche nella più favorevole ipotesi di una fuoriuscita stabile dalla crisi sanitaria, le stime sono pesanti. Ipotizzando una ripresa su livelli all’incirca normali da giugno, Prometeia e Confindustria valutano un calo del PIL intorno al 6% nel 2020; la caduta è stimata di circa il 9% per REF e per il Fondo Monetario Internazionale, anche in relazione all’inevitabile peggioramento a livello mondiale. La tabella esplicita il momento in cui sono state fatte le previsioni; una differenza anche di pochi giorni può riflettersi in modo molto sensibile sulle previsioni in relazione a come evolve la situazione sanitaria.

E poi, se non ci saranno significative ricadute nella pandemia, una volta che si è innescata la ripresa, come sarà la ripresa economica, a V o a L? Nel primo caso avremmo un recupero completo, mentre nel secondo il PIL non riuscirebbe a rimbalzare. Come si vede le previsioni si muovono, almeno per quanto riguarda il biennio 2020 – 21, su una via intermedia. Il recupero ci sarebbe ma insufficiente a tornare al punto di partenza. Con una crescita nel 2021 tra il 3,5% e il 5%, la perdita nel biennio sarebbe per tutti i previsori largamente superiore ai 3 punti; lo shock solo parzialmente recuperato.     

REF fornisce anche una stima della perdita di occupazione da qui alla fine del 2020. Essa sarebbe di circa 900 mila unità di lavoro a tempo pieno, considerando anche coloro che sono in Cassa Integrazione Guadagni; molto rilevante sarebbe anche la caduta del numero degli occupati, valutati in termini di “teste”, cioè di persone, che per REF toccherebbe la cifra di 400 mila, senza considerare la CIG. Sono particolarmente esposti i rapporti a tempo determinato; la Banca d’Italia nell’ultimo Bollettino valuta proprio in 400 mila i contratti in scadenza tra marzo e aprile: questo riguarda, in particolare i settori ricettivo-alberghiero, dei viaggi e trasporti, dei servizi ricreativi, culturali e personali e del commercio al dettaglio non alimentare.

 

Gli interventi di politica economica in Italia 

Molti hanno notato che la crisi del Coronavirus è stata soprattutto la crisi della più stretta concezione individualista. Nel contagio, e alla fine lo stesso Boris Johnson ha dovuto cedere, il ruolo pubblico è essenziale nell’indirizzare e rendere coerenti i comportamenti. È indicativo cosa ha scritto Mario Monti sul Corriere della Sera del 13 marzo: “In giorni come questi, la lucidità aumenta. Chiediamo al governo di governarci, di prendere provvedimenti rigorosi, di farli osservare. Ci rendiamo conto che solo lo Stato, con i suoi provvedimenti e con il sistema sanitario, è in grado di tutelare la salute pubblica. Riconosciamo che a fronte delle tasse, pesanti se siamo contribuenti onesti, lo Stato ci dà qualcosa che non potremmo comprare nel mercato. Forse ci viene perfino in mente, se abbiamo evaso, che è anche per colpa nostra se tanti pazienti contagiati rischiano di morire perché i reparti di terapia intensiva non hanno sufficiente capienza. “Dove la rete pubblica è debole o inesistente i pericoli del virus aumentano esponenzialmente. Scrive Joseph Stiglitz sul magazine de La Repubblica, sempre del 13 marzo: “Qui – negli Stati Uniti – milioni di persone non hanno reti di salvataggio. Se un cameriere è malato e non può restare a casa perché altrimenti non guadagna, moltiplicherà il contagio. Idem per molte persone che non faranno i test per paura di doverli pagare o di far aumentare il premio dell’assicurazione”. Davanti alla diffusione del virus non ci si può salvare da soli e solo uno stato sociale organizzato e reattivo può minimizzare i costi.

Lo shock del contagio e la necessità di approntare misure eccezionali hanno richiesto risposte davvero fuori dall’ordinario. Si era partiti a inizio marzo ipotizzando un pacchetto di 3,6 miliardi di risorse aggiuntive, pari allo 0,2% del PIL. Per l’aggravarsi della crisi le risorse stanziate sono state portate a 7,5 miliardi con gli aiuti alla sanità, alle famiglie, alle imprese. Il decreto del 16 marzo ha ancora aumentato l’intervento a una cifra fra 20 – 25 miliardi di euro, con un impatto sul rapporto deficit PIL tra lo 0,8 – 1,1 %, che non tiene conto delle garanzie e delle partite finanziarie, che pure fanno parte del pacchetto, e sono essenziali per non determinare una pericolosa crisi di liquidità dell’economia reale.

In estrema sintesi le misure hanno riguardato:

  • Risorse aggiuntive alla Sanità e alla Protezione Civile, per fare fronte ai bisogni di personale e di attrezzature, atti a fronteggiare la crisi e tenuto conto anche di una lunga fase precedente di contrazione di posti letto e di razionalizzazione;
  • Potenziamento della Cassa Integrazione Guadagni e misure per il trattamento dei dipendenti, con l’obiettivo che nessuno perda il lavoro per il Coronavirus. Gli interventi principali riguardano la Cassa Integrazione in deroga per 9 settimane per tutti i settori, anche per quelli che oggi non ce l’hanno come l’alberghiero, il turistico, quello agricolo, la pesca e la mobilità, anche per le aziende con meno di 5 dipendenti, che sospendono o riducono l’attività a seguito dell’emergenza e la Cassa integrazione ordinaria ed assegno ordinario aggiuntivi, sempre per nove settimane.
  • Sostegno ai lavoratori autonomi, anche atipici e ai lavoratori stagionali attraverso un’indennità economica di 600 €, non tassabile, da richiedere all’INPS e soggetto ai limiti di spesa per il mese di marzo.
  • Sospensione delle scadenze fiscali e contributive. Si tratta, tra l’altro, della sospensione, senza limiti di fatturato, per i settori più colpiti, dei versamenti delle ritenute, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l’assicurazione obbligatoria per i mesi di marzo e aprile, insieme al versamento Iva di marzo. Per gli altri settori è prevista la sospensione dei versamenti fiscali e contributivi fino a maggio per le imprese con fatturato fino a 2 milioni di euro.
  • Liquidità alle imprese e alle famiglie. Vengono messi a disposizione 5 miliardi di liquidità e garanzie per assicurare all’economia liquidità e maggiore accesso al credito; si tratta di una somma che secondo il Governo mette in sicurezza un ammontare di crediti pari a 350 miliardi di euro. Le misure principali, in collaborazione con il sistema bancario, prevedono la moratoria per i finanziamenti a micro, piccole e medie imprese (mutui, leasing, aperture di credito e finanziamenti a breve in scadenza) e la sospensione delle rate dei prestiti e dei mutui per chi ha avuto una riduzione del reddito.
  • Sostegno alle imprese. Sono previsti per i diversi settori misure specifiche per contrastare gli effetti derivanti dalla diffusione del Covid-19. Inoltre è previsto un credito d’imposta del 60% per botteghe e negozi riferito al canone di locazione, solo per marzo 2020.
  • Conciliazione vita – lavoro. A sostegno dei genitori lavoratori, anche autonomi, a seguito della sospensione del servizio scolastico, è prevista la possibilità di usufruire di 15 gg di congedo aggiuntivi, retribuito al 50% per genitori con figli fino a 12 anni; senza limiti di età per figli disabili. In alternativa, Voucher baby sitter di 600 euro che sale a 1.000 euro per il personale del Servizio sanitario nazionale e le Forze dell’ordine.
  • Pubbliche amministrazioni. Durante lo stato di emergenza: il lavoro agile è la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle P.A.; per i consigli dei comuni, delle province e delle città metropolitane e le giunte comunali, per gli organi collegiali degli enti pubblici nazionali e per le associazioni private anche non riconosciute e le fondazioni vi è la possibilità di riunirsi in videoconferenza; blocco concorsi per 60 gg., salvo modalità non in presenza. Previsti fondi per la didattica a distanza e per attività formative per Università.

Per la necessità di rispondere a necessità più urgenti della fascia più indigente della popolazione, di coloro che vivono alla giornata, sabato 28 marzo è stato deciso di anticipare ai Comuni l’erogazione di 4,3 miliardi da parte del Viminale e 400 milioni tramite un’ordinanza della Protezione civile. Si tratta di somme già previste, ma che vengono anticipate per poter essere utilizzate nell’immediato; altri fondi dovranno essere reperiti nel decreto di Aprile. 

Inoltre il Decreto legge Liquidità ha introdotto misure urgenti per favorire l’accesso al credito, per rinviare alcuni adempimenti per le imprese, per contrastare la crisi di liquidità. In una situazione dei mercati molto perturbata, sono previsti poteri speciali per evitare la svendita di imprese nei settori di rilevanza strategica.

Si tratta complessivamente di un pacchetto molto corposo, ma, nonostante la sua consistenza, rischia di essere insufficiente rispetto ai tempi non brevi di lotta al contagio. Lo stesso Governo ha definito un decreto che nelle prossime settimane dovrebbe fare il punto della situazione con proroghe e nuove misure. Ci dovrà essere un nuovo e consistente stanziamento per mantenere le misure di distanziamento sociale che superino l’emergenza sanitaria.

Le informazioni che si hanno al momento indicano che il disavanzo aggiuntivo del Decreto Aprile dovrebbe arrivare a 50 miliardi. Tra le voci più impegnative vi dovrebbe essere il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali per i dipendenti e per gli altri soggetti; per questi ultimi si sceglierebbe di portare l’ammontare mensile a 800 euro, probabilmente con una maggiore selettività dei soggetti ammessi. Si pensa anche ad un reddito d’emergenza, una misura temporanea, per uno o due mesi da destinare a lavoratori della cosiddetta “area grigia”: destinatari dovrebbero essere lavoratori saltuari, stagionali, addetti a termine non rinnovati, colf e badanti.

La finanza pubblica prima e dopo il Coronavirus

La Tavola sotto mostra l’andamento del rapporto deficit Pil come era stato definito con la Legge di Bilancio 2020 e come si è profilato successivamente. Quando si sono iniziati a determinare questi provvedimenti, il Governo ha comunicato alla Commissione Europea che lo scostamento rispetto all’Obiettivo a Medio Termine era essenziale per le iniziative immediate, di carattere straordinario e urgente, necessarie per fronteggiare lo stato di emergenza dichiarato per la diffusione del virus COVID-19. Tali iniziative avranno un impatto sull’indebitamento netto dell’anno in corso. Una scelta diversa da parte dell’Italia di coprire il costo del pacchetto di emergenza in questa fase con l’aumento della pressione fiscale avrebbe avuto, secondo il Governo, esaltato i rischi al ribasso per l’economia italiana e peggiorato ancor più le aspettative in un momento molto delicato. E si può dire anche senza giovare agli andamenti programmatici. Il Governo ha assicurato che, a parte la parentesi dell’emergenza, l’Italia riprenderà la sua strategia di riduzione del debito; si tratta di un proposito al momento assai difficile da mantenere.

Successivamente, comunque, la Commissione europea, con l’esplodere della crisi sanitaria, ha proposto di far scattare la clausola di emergenza prevista dal Patto di Stabilità, permettendo così agli stati membri di aumentare il deficit pubblico, senza il condizionamento temporaneo delle regole europee. Si è aggiunto, però, che l’applicazione della clausola non deve mettere a repentaglio la sostenibilità del bilancio e la deviazione dagli obiettivi di bilancio deve essere temporanea. Il Patto di Stabilità resta in vigore e questo anche per rassicurare il mercato.

 

 

Nella sua lettera di inizio marzo alla Commissione Europea il Governo aveva sottolineato come recentemente la tendenza delle finanze pubbliche prima dell’epidemia di Coronavirus fosse stata estremamente incoraggiante. “In effetti, il risultato del disavanzo per il 2019 è stato molto più basso del previsto, all’1,6 per cento del PIL, rispetto a una proiezione del 2,2 per cento del PIL nel documento programmatico di bilancio di ottobre. Inoltre, gennaio e febbraio 2020 hanno visto il proseguimento del declino su base annua del fabbisogno di prestiti dell’amministrazione centrale: a 32 miliardi di euro, il disavanzo progressivo di dodici mesi è il più basso dalla metà del 2008. Tuttavia, pur partendo da una base più solida, l’epidemia di Coronavirus influenzerà negativamente i dati economici e di bilancio di marzo e le nostre proiezioni annuali. Al momento, è difficile prevedere quale sarà l’impatto netto di tutti questi fattori, ma speriamo che la nuova stima sia vicina a quella originale.

Miglioramento delle entrate nel 2019 Una parte importante del miglioramento inatteso del deficit nel 2019 è dovuta ad una dinamica sostenuta delle entrate. La dinamica del gettito complessiva è stata trainata sia dalle imposte dirette e, in particolare, dal gettito IRPEF e IRES, sia dalle imposte indirette sostenute dal gettito dell’IVA e da quello dell’imposta su lotto e lotterie. Nel 2019 le entrate tributarie erariali accertate in base al criterio della competenza giuridica ammontano a 471.622 milioni di euro (+ 7.847 milioni di euro) rispetto allo stesso periodo del 2018 (+1,7%). 

Al risultato positivo dell’IVA sugli scambi interni ha contribuito l’introduzione della fatturazione elettronica, obbligatoria dal 1° gennaio 2019, per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuati tra soggetti residenti. Avrebbe contribuito alla crescita dell’IVA per 1,8-2 miliardi di euro sui 3,6 miliardi di maggiore imposta incassata con gli scambi interni. Sembrano aver determinato i buoni risultati altre misure antievasione introdotte negli ultimi anni: dall’estensione del reverse charge allo split payment, ossia il meccanismo per cui l’IVA viene versata direttamente dal committente e che è stato esteso anche oltre le pubbliche amministrazioni. Anche le pagelle fiscali hanno dato un apporto in termini di maggior gettito.

Riguardo alle ritenute IRPEF sono aumentate quelle sui redditi da lavoro dipendente e da pensione per poco più di 5 miliardi (+3,3%) anche in relazione alla crescita, nel corso del 2019, dello 0,6% dell’occupazione e un miglioramento delle retribuzioni lorde pro capite che sono aumentate, secondo l’ISTAT, dell’1,1%. Questi due elementi evidenziano un aumento della pressione fiscale media sui redditi da lavoro dipendente e da pensione. 

Vi è stato un sensibile calo per le ritenute sui redditi da lavoro autonomo. Ha inciso il calo dell’occupazione, ma anche l’allargamento del regime forfetario alle partite IVA con ricavi o compensi fino a 65 mila euro, che ha pesato sulle trattenute sugli autonomi per quasi 1,3 miliardi di euro in meno rispetto al 2018 (-10,1%). 

Il buon risultato dei contributi (+3,2%) dipende, oltre che da un risultato positivo dell’occupazione, del venir meno degli effetti di alcune misure di decontribuzione sui nuovi assunti.

Sul versante della spesa, la voce che è cresciuta di più nel 2019 è stata quella delle prestazioni sociali in denaro (+3,7%) per effetto del reddito di cittadinanza e quota 100; entrambe queste misure, comunque, hanno avuto un tiraggio minore rispetto a quello che si pensava in origine e sono state via via riviste anche al ribasso; l’UPB segnala una sovrastima della spesa prevista ancora a settembre 2019 per prestazioni sociali in denaro di 1,3 miliardi rispetto al consuntivo. I dati a consuntivo dell’ISTAT segnalano per l’anno scorso una riduzione delle prestazioni sociali in natura acquistate direttamente sul mercato (-0,6%), per la contrazione di quelle di natura assistenziale destinate al fenomeno dell’immigrazione.  E’ stata in forte calo la spesa per interessi passivi (-6,7%) per la limatura del costo medio all’emissione dei titoli di Stato e per una più importante riduzione del costo medio. I redditi da lavoro dipendente nelle Pubbliche Amministrazioni sono aumentati solo dello 0,4% rispetto al 3,2% dell’anno precedente, in cui erano stati registrati gli effetti dei rinnovi contrattuali.

L’Ufficio Parlamentare al Bilancio ha confermato che “le voci di entrata e di spesa che hanno determinato, rispetto alle previsioni, un disavanzo minore nel 2019 possono, in gran parte, essere considerati di natura permanente.” 

Il deficit strutturale nel 2020 Al netto dell’effetto della congiuntura e delle misure eccezionali, il Governo a marzo ha dichiarato di confermare l’impegno assunto nella relazione di settembre al Parlamento e nel documento programmatico di bilancio 2020, di consentire al massimo un deterioramento dello 0,1 per cento del PIL del saldo del bilancio strutturale per quest’anno. Bisogna ricordare che le voci di bilancio una tantum per le misure eccezionali non entrano nel calcolo del deficit strutturale. Esse, infatti, non si ripresenteranno una volta che l’Italia avrà superato l’epidemia di COVID-19 e le sue ricadute economiche. 

Come indicato in tabella l’obiettivo per il rapporto deficit Pil per il 2020 presente nella Relazione al Parlamento di marzo era in una forchetta tra il 3,0 ed il 3,3%. Come scriveva però l’UPB “tuttavia, la profonda incertezza che circonda le prospettive macroeconomiche per il 2020 non consente, per il momento, di giungere a una stima del quadro di finanza pubblica che abbia un grado di affidabilità accettabile.” Come detto, è certo che l’intervento pubblico venga rafforzato. La caduta delle entrate e l’aumento della spesa saranno più rilevanti rispetto a quello che veniva stimato dal Governo all’inizio di marzo. E’ difficile anche ipotizzare che il Coronavirus si configuri come un incidente di percorso che si riassorba rapidamente senza conseguenze di medio e lungo termine sull’attività, sul tessuto produttivo e sull’occupazione.

Gli istituti di previsione, in effetti, stimano un rapporto deficit Pil, decisamente più elevato; Confindustria ha valutato per il 2020 il 5,0%. Ma la situazione si muove rapidamente; notizie di stampa riferiscono che il prossimo DEF, che dovrebbe essere licenziato ad aprile, porterebbe la cifra per il corrente anno tra il 7 e l’8%. Per il 2021 il Centro studi di Viale dell’Astronomia valuta possibile il ritorno al 3,2%, anche se si tratta al momento di una stima probabilmente ottimistica.

 

Dallo shock dell’economia reale all’instabilità finanziaria

La crisi del 2008 è iniziata come crisi finanziaria determinata dai titoli tossici subprime e si è trasformata in una crisi dell’economia reale attraverso il canale del credito, improvvisamente ristrettosi per l’incertezza sulla solvibilità degli attori. Questa del Coronavirus nasce, anche considerando il contesto di stagnazione che preesisteva, dal blocco improvviso dell’economia reale attraverso i due canali convergenti della domanda e dell’offerta; la crisi dell’economia reale rischia di trasformarsi in una profonda crisi finanziaria con conseguenze di medio – lungo periodo sulla struttura economica italiana e degli altri paesi.

L’interruzione delle vendite da parte delle imprese prosciuga la liquidità per fare fronte ai pagamenti verso la catena dei propri fornitori, nonché degli stipendi verso dipendenti e collaboratori.  I tempi di pagamento si dilatano in assenza di uno sbocco sul mercato. Se la situazione si prolunga, questo dà luogo ad insolvenze. Quindi la crisi di liquidità si trasforma in una crisi di solvibilità con la possibile chiusura di attività che in assenza di shock avrebbero continuato ad operare. Si riduce il prodotto potenziale del paese con conseguenze di lungo periodo; il valore aggiunto di molte delle imprese che non hanno resistito alla crisi de 2008 non è stato ancora compensato.

Inoltre la perdita di solvibilità delle imprese rischia di riversarsi sui bilanci delle banche con un possibile effetto di contagio bancario. Si debbono anche segnalare le retroazioni negative che tendono a crearsi tra debito bancario e debito sovrano; eventuali salvataggi di istituti creditizi appesantiscono il debito pubblico; il peggioramento di questo riduce il valore dei titoli in possesso delle banche e, dunque, ne indeboliscono il patrimonio netto. 

In effetti i diversi paesi sono intervenuti per creare cuscinetti di liquidità; la Francia ha reso disponibile 300 mld e la Germania 650 mld di €; gli Stati Uniti 850 mld di $. Nello stesso senso gli accordi tra governi, sistema delle imprese, organizzazioni sindacali e mondo bancario per rendere più fluido il sistema dei pagamenti, compresi gli ammortizzatori sociali, ed evitare il dilagare della crisi di liquidità. Occorre dare alle attività economiche quei respiratori che aiutino a superare la polmonite e a mantenere il tessuto vivo.

Da ciò dipenderà molto della capacità delle imprese di restare attive malgrado le perdite subite nella fase di arresto dell’attività.

Gli interventi di stabilizzazione economica e finanziaria sono assolutamente essenziali. E vanno costruiti anche in una dimensione europea. Ma la crisi del Coronavirus ci sollecita anche a ripensare a quello che non ha funzionato nello sviluppo economico e del benessere in Italia.

 

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