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Quale Irpef per il futuro

Chi ha letto il Documento congiunto delle Commissioni finanze di Camera e Senato sulla riforma fiscale, ma anche il disegno di legge Delega al Governo per la revisione del sistema fiscale non poteva pensare che il governo con la legge di bilancio sarebbe stato in grado di affrontare e risolvere quei problemi che né il documento congiunto né il Dld hanno affrontato in tema di riforma fiscale e di Irpef in particolare.

Entrambi i documenti tacciano sulla continua erosione dell’imponibile IRPEF, indicano genericamente la necessità di tagliare le spese fiscali, nulla dicono sul regime sostitutivo di flat tax degli autonomi, si limitano a indicazioni generiche sulle modifiche da apportare all’Irpef e via discorrendo.

Il Documento congiunto delle Commissioni è un pessimo compromesso tra forze politiche di orientamento profondamente diverso incapace, quindi, di affrontare i nodi politici del sistema fiscale italiano. La Delega, come affermato dallo stesso presidente del Consiglio, è una scatola vuota che spetta al Parlamento, e ai partiti, riempire, ma ha, se non altro, il pregio di introdurre il tema della riforma del catasto. 

In attesa di discuterla e di riempirla era difficile che la legge di bilancio, sostenuta dalla stessa maggioranza che ha prodotto il documento e fatta dallo stesso governo che ha presentato il Dld, potesse sostituirla nel risolvere anche solo parte dei problemi del sistema fiscale italiano.

Per risolverli è necessario un governo “politico” in grado di affrontare i nodi politici che stanno alla base dei problemi del sistema fiscale o un governo “tecnico” talmente forte da superare qualsiasi resistenza politica. La prima strada è quella chiaramente preferibile, la seconda indicherebbe un sostanziale default del sistema democratico.

L’altro elemento che escludeva una possibilità di intervento più ampio di quello fatto era il limite posto dalle risorse a disposizione, 8 miliardi complessivi. Praticamente impossibile con quelle risorse procedere contemporaneamente a razionalizzare la curva Irpef dei dipendenti eliminando/riducendo le differenze esistenti tra aliquote marginali e aliquote teoriche, a eliminare le differenze di trattamento a parità di reddito tra dipendenti, pensionati e autonomi (se in regime Irpef), a ridurre la pressione fiscale su tutti i contribuenti o su buona parte di essi, ad affrontare il tema dell’incapienza fiscale, fare cioè una riforma complessiva dell’Irpef.

Certo, fermi restando i saldi di bilancio, si poteva tentare di trovare altre risorse intervenendo a esempio sulle spese fiscali. Nel 2011 ho partecipato ai gruppi di lavoro che il ministro Tremonti istituì con lo scopo di effettuare una ricognizione delle tax expenditures per poi procedere a una loro riduzione, obiettivo indicato da allora da ogni governo. Il risultato è stato che dal 2011 le tax expenditures sono annualmente aumentate ed era ben difficile attendersi un loro taglio da un Parlamento che fino all’ultimo ha premuto, con successo finale, per una proroga del bonus 110% esteso alle villette senza limiti di reddito.     

Dati i limiti di bilancio il governo si è limitato a un “intervento fiscale”  facendo delle scelte tra gli obbiettivi possibili, certo in primis secondo gli interessi dei partiti. Si è detto fortunatamente detto no all’ipotesi Confindustria di agire sui contributi anziché sull’Irpef: quell’ipotesi avrebbe escluso i pensionati dai benefici, ne avrebbe dirottati un terzo alle imprese e avrebbe posto un serio problema al sistema pensionistico.

Il governo ha scelto, tra le diverse opzioni, di “normalizzare” la curva dei lavoratori dipendenti eliminando le distorsioni introdotte nella struttura Irpef dal bonus Renzi prima e soprattutto dal D.L. 3/2020 Conte-Gualtieri che avevano prodotto per i dipendenti questa struttura di aliquote marginali: 

 

2021

Scaglioni

Aliquote

fino a 15.000

27,51

15.001 a 28.000

31,51

28.001 a 35.000

45,05

35.001 a 40.000

60,82

40.001 a 55.000 

41,62

55.001 – 75.000

41

oltre 75.000

43

 

Con le nuove aliquote e le nuove detrazioni introdotte dalla legge di bilancio la struttura dell’Irpef assume questo aspetto:

 

2022

 

 

 Dipendenti

Pensionati 

 Autonomi

Scaglioni

Aliquote

Aliquote effettive

fino a 15.000 

23 

23,00 

29,44 

26,40 

15.001 a 28.000 

25 

34,15 

31,44 

28,40 

28.001 a 50.000 

35 

43,68 

38,18 

37,27 

oltre 50.000   

43 

43

43

43

 

L’ultima tabella evidenzia i pregi e i limiti dell’intervento della legge di bilancio. La razionalizzazione dell’Irpef dei dipendenti è evidente, si passa da 7 a 4 scaglioni, scompaiono le aliquote intermedie del 45,05% e del 60,82% eliminando una gobba assurda. Si riduce l’aliquota del 38% che tanto pesava sulle retribuzioni tra i 28.000 e i 55.000 euro.

Se questi sono i pregi dell’intervento. i difetti della struttura dell’Irpef che ne è uscita sono evidenti.

Restando tra i lavoratori dipendenti è possibile notare come nel secondo e terzo scaglione l’aliquota effettiva sia (ancora) sensibilmente più alta di quella teorica  e come quella del terzo sia maggiore di quella del quarto scaglione. Questo vuol dire, ad esempio, che un eguale aumento contrattuale percepito da un lavoratore con retribuzione che cade nel terzo scaglione è colpito fiscalmente più pesantemente rispetto a quello del lavoratore con retribuzione più elevata che si colloca nel quarto scaglione. Questo è l’effetto prodotto dalle detrazioni decrescenti, tipologia di detrazioni che la legge di bilancio ha mantenuto e che caratterizza il nostro sistema fiscale ormai da più di venti anni.

E’ un primo elemento da cambiare in una riforma strutturale dell’Irpef.

Se spostiamo lo sguardo dai lavoratori dipendenti alle altre tipologie di contribuenti vediamo come la legge di bilancio non abbia affrontato il problema del diverso trattamento fiscale tra dipendenti, pensionati e autonomi frutto del bonus Renzi e della sua estensione operata da Conte-Gualtieri. 

Eliminare la differenza di trattamento, soprattutto per i pensionati, era di fatto impossibile. L’UPB ha stimato che solo l’aumento della no tax aerea e delle detrazioni per i pensionati unitamente all’effetto sulle pensioni della manovra sulle aliquote e scaglioni ha assorbito 2,6 miliardi sui sette complessivi. Eliminare la differenza di trattamento con i dipendenti era fuori portata. Per gli autonomi avrebbe certamente comportato la messa in discussione della flat tax per i redditi fino a 65.000 euro.

E’ tuttavia evidente che un sistema fiscale a tre facce fino a 50.000 euro non può che essere provvisorio e che nell’attuazione della delega il problema debba essere affrontato e risolto con una unificazione complessiva. 

Una differenza di detrazioni è giustificabile data la possibilità per gli autonomi di scaricare i costi di produzione del reddito ai fini della determinazione dell’imponibile  e che i pensionati a differenza dei dipendenti non hanno spese per la produzione del loro reddito. Ma certo la differenza attuale di detrazioni e di bonus residuo non è giustificabile. 

Polemiche accese sono sorte sulla presunta riduzione di progressività operata dalla legge di bilancio. V.Visco in un articolo intitolato “Irpef, più o meno progressiva?”  pubblicato su InPiù il 10/01/2022 afferma che “la riforma può … essere criticata da diversi punti di vista, ma non certo in base alla sua presunta regressività“.  Allargando lo sguardo al decennio passato, Visco aggiunge, “se si tiene conto di tutti gli interventi, compreso l’ultimo, si vede che negli ultimi 10 anni, nonostante i disastri compiuti, la progressività dell’imposta (per quanto riguarda le aliquote) è aumentata in misura considerevole“.

Visco aggiunge nell’articolo una riflessione interessante allargando ancora il periodo di osservazione fino alla nascita dell’Irpef nel 1973 con i suoi 32 scaglioni e aliquote che all’inizio variavano tra il 10 e il 72%. Dice Visco che “l’imposta del 1973 con la sua struttura molto più ripida, tassava di più i redditi più bassi, meno tutti i redditi intermedi, e considerevolmente di più quelli superiori ai 140-150.000 euro. Se vogliamo interpretare da un punto di vista politico-sociologico la struttura delle aliquote con pochi scaglioni che ha prevalso negli ultimi decenni, possiamo dire che essa esprime una alleanza tra “poveri” e ceti abbienti, una maggioranza “populista” rispetto alla maggioranza prima prevalente: quella “socialdemocratica” tra “poveri” e ceti medi. Prima la progressività era limitata in basso, ma elevata in alto, ora avviene il contrario, a spese dei ceti medi sui quali è stato scaricato un peso fiscale molto consistente che è andato a beneficio dei “poveri” e dei “ricchi”…Su questo forse dovrebbero riflettere sindacati e commentatori preoccupati delle diseguaglianze economiche“.

Non so se nella riflessione di Visco si possa leggere anche una autocritica implicita. 

 

Scaglioni e aliquote Irpef

Anni

Numero scaglioni

Aliquote minima   e massima

1974-782

32

10 -72

1983-1985

9

18 – 65

1986-1988

9

12 – 62

1989-1991

7

10 – 50

1992-1997

7

10 – 51

1998-2000

5

18,5 – 45,5

2001-2002

5

18 – 45

2003-2004

5

23 – 45

2005-2006

4

23 – 43

2007-2021

5

23 – 43

2022

4

23 – 43

 

Nella tabella sono riportati il numero degli scaglioni Irpef e le aliquote minima e massima dalla sua introduzione a oggi. La prima drastica riduzione degli scaglioni, da 32 a 9, è avvenuta nel 1983 a causa dell’elevata inflazione di quegli anni. La pressione fiscale era fortemente aumentata in modo simile per tutti i livelli di reddito e, specialmente per quelli bassi e medi, l’aumento dei redditi prodotto dall’inflazione causava salti continui di scaglione con il conseguente fenomeno del fiscal-drag. La prima riduzione degli scaglioni va vista in questo quadro.

Vanno poi sottolineati due passaggi quello del 1989 e quello del 1998. Nel primo che pure, segnò la conquista sindacale della norma sul fiscal-drag con l’obbligo per il governo di rivedere i limiti degli scaglioni e l’importo delle detrazioni se l’inflazione superava il 2%, l’aliquota massima scese dal 62 al 50% con largo beneficio per i redditi più alti. Il secondo intervento, opera di V. Visco, nell’ambito di una riforma  che introdusse l’Irap e le addizionali Irpef locali, diminuì gli scaglioni da sette a cinque portando l’aliquota massima dal 51% al 45,5% (46% considerando le addizionali), con una ulteriore sensibile riduzione della pressione fiscale per i redditi molto alti. Tra l’altro Visco introdusse 17 importi diversi di detrazioni per lavoro dipendente e pensione (12 per gli autonomi) determinando un effetto “scalino” molto forte soprattutto per i contribuenti con imponibile entro il primo scaglione, con una forte differenziazione tra aliquote effettive e aliquote teoriche nello scaglione. 

Insomma, tutti i governi hanno contribuito a passare da una struttura Irpef “socialdemocratica” a una struttura “populistica” anche se a Visco va dato atto di aver corretto con la riforma del 2007 i danni distributivi a favore dei redditi alti fatti dalla riforma Siniscalco del 2005.

La struttura dell’Irpef,  prendendo a riferimento quella del lavoro dipendente, oggi pone chiaramente il problema posto da Visco nell’articolo citato, specie se collegato al tema dell’evasione e al tema delle prestazioni sociali legate al reddito. Lo scaglione più alto con l’aliquota del 43% parte dai 50.000 euro che significa  partire da una retribuzione netta di poco superiore ai 2.700 euro mensili.

Difficile affermare che abbia molto senso passare dal 25% al 35% al 43 % dai 15.000 ai 50.000 euro e poi fermarsi. Se nel 2021 era considerata illogica un’aliquota del 38% per un reddito di 50.000 euro, è difficile oggi accettare invece per lo stesso reddito un’aliquota del 43%. Il limite minimo dello scaglione più alto va alzato e, a mio avviso, non ci si può fermare al 43% di aliquota massima.

Ma qui entra in gioco il tema dell’evasione. Si può aumentare il carico Irpef su chi oggi paga regolarmente l’imposta a fronte di una evasione diffusa? E’ accettabile un aumento di imposizione Irpef se il 96% dell’imposta è versata solo da chi ha il sostituto di imposta? 

Il successo delle analisi di Itinerari previdenziali sulle dichiarazioni dei redditi deve far riflettere la sinistra e il sindacato. Le tesi di Brambilla sull’assistenza si possono criticare ma i dati su chi pesa l’Irpef sono reali e non vanno ignorati. La lotta all’evasione è prioritaria; un passo avanti in tal senso è stato fatto con l’approvazione nel decreto legge 139/21 della norma con la quale si riconosce una priorità alla finalità del pubblico interesse rispetto a quella del trattamento dei dati personali limitando il potere del Garante della privacy.

.C’è un legame tra progressività dell’Irpef e prestazioni sociali legate al reddito. In teoria in un sistema fortemente progressivo le prestazioni sociali finanziate fiscalmente non dovrebbero essere sottoposte alla prova dei mezzi per accedervi. Se la progressività fiscale è attenuata e, soprattutto, se il bilancio dello stato lo richiede è chiaro che almeno parte di queste prestazioni sarà limitata in base al reddito. Esempio ultimo è stato l’assegno unico. Va trovato un equilibrio tra progressività fiscale e progressività nelle prestazioni sociali, affinché non si formi una doppia e, a volte, una tripla progressività a carico di coloro su cui ricade il peso maggiore del finanziamento del welfare. 

Con il sistema duale prospettato nella delega una parte notevole dei redditi prodotti nel paese, tutti quelli non da lavoro, saranno tolti definitivamente dalla base imponibile Irpef. La quota di reddito nazionale derivante dal lavoro è in progressiva diminuzione. Richiesta diffusa è quella di diminuire la pressione fiscale sul lavoro. Aumenta invece la richiesta di prestazioni sociali universalistiche, non finanziate da contributi, ultimi esempi il Reddito di cittadinanza e l’Assegno unico. 

Se consideriamo nel loro insieme questi elementi vediamo che si pone il problema del finanziamento di uno stato sociale che si allarga, ma che vede diminuire la sua base di finanziamento tradizionale, quella contributiva e quella Irpef sui redditi da lavoro. Nel nuovo sistema fiscale i redditi non soggetti a Irpef potrebbero finanziare il welfare, con le prestazioni di cui anche i titolari di questi redditi potrebbero beneficiare, con un contributo specifico.

Altro tema da affrontare in una futura Irpef è quello di una imposta negativa. Il bonus rimasto con la legge di bilancio, come il bonus Renzi e il bonus Conte-Gualtieri precedentemente, non scatta se la retribuzione non supera l’imponibile fiscale per un lavoratore dipendente. Basta una differenza di pochi euro per determinare una perdita di retribuzione netta che con il bonus Renzi arrivava a 960 euro e che poi è salita a 1.200 euro. Inoltre nel nostro sistema fiscale vige la regola che le detrazioni sono godibili nell’ambito della capienza fiscale ossia fino al limite dell’imposta lorda dovuta. Se le detrazioni a cui in teoria avessi diritto superano l’ammontare dell’imposta perderei la parte eccedente.

L’attuale bonus va eliminato in una sistemazione complessiva dell’Irpef nell’ambito della quale andrebbe introdotta un’imposta negativa, la possibilità cioè di usufruire delle detrazioni anche se queste superano l’imposta lorda con restituzione della differenza da parte dello stato.

Tutto quello che è stato indicato richiede naturalmente tante risorse e non basterebbe certo un aumento delle aliquote sopra il 43% per reperirle.

D’Altra parte le risorse derivanti dalla lotta all’evasione sono spendibili dopo, una volta assestate, e non in termini previsivi. Le risorse necessarie vanno quindi trovate all’interno del sistema fiscale in una riforma complessiva, all’interno della spesa corrente complessiva e nell’aumento del tasso di crescita del sistema economico.

Nel sistema fiscale, se i partiti avranno coraggio, vi è il vasto territorio delle tax expenditures in cui affondare le forbici e poi vi è anche la possibilità di una razionalizzazione delle aliquote IVA che a sua volta potrebbe fornire risorse non modeste come indicato da V. Visco.

Come costruire un’Irpef “socialdemocratica”?

Problema complicato, non solo per i vincoli di bilancio. 

Certamente il sistema ad aliquota continua permetterebbe di evitare una discussione sul numero degli scaglioni, ma certamente non eviterebbe quello di stabilire a che livello di reddito/aliquota far cessare la crescita dell’aliquota marginale e che aliquota/e fissare per i livelli di reddito superiori.

Sono parametri importanti e decisivi anche per giudicare il livello di progressività complessiva della struttura assieme al valore dell’aliquota iniziale e delle detrazioni.

Certamente questo sistema è più tutelante per i redditi medi rispetto ad un sistema flat tax alla Salvini e ovviamente più rispondente ai dettami di progressività costituzionali. I limiti stanno nella sua non facile spiegazione ai contribuenti.

L’altra alternativa è aumentare il numero degli scaglioni, portare il 43% ad un livello di reddito più elevato, introdurre una/due aliquote più elevate, passare a detrazioni in cifra fissa, limitatamente differenziate tra dipendenti e pensionati e maggiormente con autonomi.

Un’Irpef “socialdemocratica” affiancata da una forte lotta all’evasione è essenziale per difendere il modello sociale europeo. Con un Irpef “populista” e un’evasione diffusa il rischio che si scivoli verso un sistema sociale di tipo anglosassone diventa alto.

In ballo non c’è solo il sistema fiscale.

 

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