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Le tutele sociali nelle recenti relazioni industriali

Negli ultimi anni il processo di ammodernamento delle relazioni industriali ha conosciuto una fase di accelerazione e di intensità nella dimensione regolatrice a livello interconfederale che fa contrasto con i 15 anni trascorsi dallo storico accordo del 23 luglio 1993 per arrivare alla piattaforma unitaria CGIL CISL UIL del maggio 2008.

Dal 2008 si avvia, infatti, un percorso di ridefinizione della struttura della contrattazione che vede una sequenza di accordi interconfederali che ridisegnano il ruolo del contratto nazionale, della contrattazione di secondo livello aziendale o territoriale e, più in generale, riqualificano la contrattazione non solo in tema di regole ma anche – e soprattutto – in termini di missione e di approccio culturale.

Sempre più le relazioni industriali vengono viste come uno strumento importante per lo sviluppo economico e sociale del paese, per il miglioramento delle condizioni di produttività e di competitività delle imprese e per la valorizzazione del lavoro come risorsa strategica per una competitività sostenibile basata sulla qualità e sull’innovazione.

Una dimensione nella quale sempre meno trova posto una concezione di tipo antagonistico e rivendicativo e sempre più si rende necessario un approccio di tipo partecipativo al sistema di relazioni ed una contrattazione fondata sulla conoscenza dei contesti e dei reali bisogni delle persone,  sulla capacità di proposta e sull’assunzione di responsabilità.

Un percorso, quindi, di fondamentale importanza ma tutt’altro che lineare e sereno.

Il 2008 segna, infatti, anche l’avvento della crisi finanziaria internazionale – prima – e di quella economica e sociale poi. Una crisi di straordinaria profondità e durata che ancora oggi persiste. Sono anche gli anni di grande turbolenza e instabilità politica che si ripercuotono sul sindacato in termini di divisioni e di una CGIL firmataria o non firmataria di accordi più in rispondenza del mutare del quadro politico che rispetto al merito.

Punti salienti di questo percorso sono: l’accordo generale sindacati, governo, imprenditori del gennaio 2009 (non firmato dalla CGIL) e la fase di rinnovo dei contratti nazionali che ne è seguita, l’accordo con Confindustria del 28 giugno 2011 (firmato anche dalla CGIL) che affronta il tema della rappresentanza e della validazione degli accordi aziendali, il Patto per la produttività del novembre 2011 (non firmato dalla CGIL) e il Protocollo del 31 maggio 2013 che sviluppa e completa i temi della rappresentanza e rappresentatività.

E’ in questo contesto che va visto lo sviluppo del cosiddetto welfare contrattuale, ovvero la definizione per via contrattuale di benefici, prestazioni e/o servizi di natura sociale a favore dei lavoratori.

L’implementazione di questo versante  interessa la contrattazione in tutte le dimensioni e livelli: confederale e di categoria; nazionale e di territorio.

Alla base dello sviluppo del welfare contrattuale vi sono più ragioni e cause concomitanti.

 La necessità di rigore per risanare i conti pubblici determina un taglio alla spesa sociale dello Stato, mentre le stesse aziende – strette dalla crisi e dalla competizione a scala globale – sviluppano un’attenzione al contenimento dei costi che si ripercuote sulla contrattazione.

Ecco, dunque, che proprio mentre le famiglie avrebbero più bisogno di welfare, le risorse vengono a mancare e sollecitano il sindacato a trovare risposte attraverso la contrattazione.

 Va detto con chiarezza che la natura del welfare contrattuale non può che essere complementare e/o integrativa rispetto alle prestazioni che vanno garantite dallo Stato e/o dalle Pubbliche Amministrazioni. La ragione non sta solo nella sempre più ridotta capacità di spesa pubblica, ma anche nella possibilità di intercettare con la contrattazione, in particolare nelle aziende e sul territorio, bisogni più particolari ai quali poter fornire risposte più “personalizzate” alle esigenze dei singoli e del territorio. 

Quando si sostiene la necessità di una contrattazione basata sulla conoscenza non ci si riferisce soltanto alla conoscenza del contesto produttivo, organizzativo, economico, finanziario o di mercato ma anche – e soprattutto – alla conoscenza della gente che rappresentiamo, alle loro caratteristiche, necessità, aspettative.

Ecco che contrattare welfare  non può essere inteso come una sorta di ripiego rispetto alle difficoltà indotte dalla crisi, ma rappresenta un versante strategico dell’agire sindacale che non ha valenza emergenziale ma di prospettiva e può rappresentare una nuova frontiera della contrattazione. 

Accanto a questo vanno analizzate tutte le questioni di opportunità e di convenienza che incoraggiano una prospettiva forte di irrobustimento del welfare contrattuale.

Tanto più se l’agibilità di risorse da destinare alla contrattazione è limitata, a maggior ragione le risorse vanno destinate in modo mirato e conveniente, a partire dalle scelte che si fanno in tema di salario.

Il salario va sempre più legato ad obiettivi credibili di produttività, efficienza, innovazione in grado, da un lato, di favorire la competitività delle imprese valorizzando il lavoro e, dall’altro, per usufruire dei benefici collegati alla detassazione del salario legato ad obiettivi.

Ma l’altro versante a cui destinare le risorse disponibili è sicuramente il welfare: una quantità di risorse destinate al welfare può consentire ai lavoratori di acquisire prestazioni e servizi difficilmente ottenibili da parte dei singoli, ottenendo così un triplice vantaggio: prestazioni e servizi più mirati rispetto ai singoli contesti, maggior potere contrattuale verso i soggetti erogatori, agevolazioni fiscali.

Abbiamo, infatti, potuto registrare attraverso OCSEL (L’Osservatorio della CISL sulla contrattazione di secondo livello ) che il welfare contrattuale si è rivelato negli ultimi anni un versante in crescita della contrattazione.

In ordine di frequenza sulla ricorrenza di regolamentazione delle materie,  la tematica del Welfare integrativo è trattata nel 14% degli accordi. 

Il percorso di crescita avviatosi nel corso dell’ultimo decennio trova una battuta d’arresto con lo scoppio ed il perdurare della crisi. 

Rispetto al 2009 si registra un forte calo della percentuale di ricorrenza della materia negli accordi: si passa da un 24% nel 2009 fino ad arrivare ad un 10% nell’anno 2012.

Analizzando i dati disaggregati per categoria contrattuale, in particolare la materia risulta maggiormente contrattata nei settori dei Metalmeccanici (18%), Edilizia (circa il 14%), Alimentaristi (10,7%), Chimici (10,4%). A seguire quelli stipulati negli altri settori.

Per praticità di analisi in OCSEL abbiamo raggruppato le singole materie inerenti l’istituto contrattuale del welfare integrativo in tre macro aree: 1) fondi integrativi di previdenza/assistenza; 2) miglioramento, rispetto alla legislazione vigente, riguardo ad alcune materie del welfare contrattuale; 3) Servizi aziendali e Convenzioni. 

La macro-area maggiormente ricorrente nella sua regolamentazione sul totale degli accordi sul welfare sono i Servizi Aziendali e l’attivazione di Convenzioni (77%) seguita dall’attivazione di Fondi Integrativi (60%) e, in ultimo, le disposizioni di miglioramenti, rispetto alla legislazione vigente, riguardo ad alcune materie del welfare contrattuale (55%)

Analizzando i dati delle tre macro-aree singolarmente, la percentuale di ricorrenza più alta della regolamentazione delle singole voci afferenti l’area “Fondi Integrativi” è l’Assistenza Sanitaria Integrativa (46%) seguita dalla Previdenza Complementare ( 35%) e dalle altre forme di bilateralità (19%).

Per quanto concerne le disposizioni che apportano progressi e condizioni di miglior favore rispetto alle specifiche norme contrattuali e legislative) la percentuale di ricorrenza più alta, sul totale degli accordi che hanno indicato il dato, è quella dei congedi di maternità e paternità (24%) e dei “permessi” sia per visite mediche che per esigenze di decessi, nascite e malattie dei figli (20%). A seguire quella dei congedi parentali e malattia /infortunio. Un 18% non specifica il dato.

ll confronto e gli ambiti di scambio negoziale hanno generato, inoltre, condizioni di miglior favore rispetto alle norme contrattuali nazionali e miglioramenti sostanziali e qualitativi anche su altri diversi argomenti con le imprese. 

Per quanto concerne i Servizi aziendali e Convenzioni ( la percentuale di ricorrenza della regolamentazione della materia interessa l’erogazione di una serie di benefit a favore del lavoratore (31%) (dove l’interesse maggiore si concentra a negoziare l’erogazione dei “ ticket pasti”, a concordare tariffe agevolate su beni di utilità generale -energia, banche, telefonia, farmacie-, ad erogare buoni carburante e carrello della spesa). Segue in ordine di trattazione della materia il servizio mensa (20%) e altri servizi (12%) (cure termali e Centri estivi e ricreativi), iservizi dell’asilo/nido d’infanzia (10%) e altre forme di sostegno al reddito (7%) (anticipo TFR, fondo di garanzia per il microcredito, servizi alla persona quali visite mediche gratuite e/o rimborsate, alloggiamento di cantiere, patrocinio legale gratuito). 

Bassa la percentuale di trattazione riguardante i rimborsi per le spese scolastiche e i contributi per la retta degli asili nidi (7%) come anche quella delle borse di studio per i figli dei lavoratori (6%).

Le scelte contrattuali in tema di welfare non possono essere di tipo occasionale o contingente. Esse devono rispondere ad un disegno ben definito di natura strategica.

Va, innanzitutto, rilevato che un mancato impegno del sindacato su questo versante può ingenerare gravi rischi: 1) far mancare, senza distinzione di reddito e di condizione, ai lavoratori una parte fondamentale di servizi e di prestazioni col rischio di ricadute pesanti sulle condizioni di lavoro e di vita; 2) lasciare spazio ad erogatori privati di prestazioni e servizi di offerte ai singoli a prezzi puramente di mercato;  3) delegare implicitamente alle aziende la facoltà di erogare prestazioni in termini unilaterali e magari all’insegna del paternalismo e/o della discriminazione.

Una discriminante fondamentale del tipo di iniziativa sindacale è data dalla natura dimensionale delle imprese.

Nelle grandi aziende si possono prevedere servizi, prestazioni e/o contributi finalizzati direttamente negli accordi aziendali e diretti esclusivamente a quella platea di lavoratori in quanto è già possibile individuare forme di aggregazione della domanda e realizzare economia di scala.

Per le realtà caratterizzate da piccole aziende occorre operare attraverso la contrattazione territoriale istituendo fondi alimentati da contributi contrattualizzati ed in grado di erogare prestazioni e servizi.

E’ in queste situazioni che welfare contrattuale e bilateralità si incontrano dando luogo ad esperienze che vanno oltre l’ambito contrattuale e di servizio realizzando forme compiute di partecipazione o, addirittura, di cogestione, come è il caso degli Enti Bilaterali, delle Casse Mutue, dei Fondi di Previdenza e di quelli di Assistenza Sanitaria.

In questi ultimi casi vanno valutati – anche in ordine all’efficienza gestionale ed alla massa critica necessaria – ambiti di maggiore dimensione come quello nazionale di categoria o interconfederale o quelli regionali interconfederali.

Un’ulteriore discriminante è rappresentata dal grado di salute economica e finanziaria delle imprese. Nelle realtà sane può essere possibile gestire il costo del welfare contrattuale come aggiuntivo rispetto ai premi legati ad obiettivi (salario di produttività ecc.).

Nelle realtà con situazioni più precarie possono essere sperimentate forme (come in alcune realtà è già avvenuto) di “conversione” del salario legato ad obiettivi (tenendo conto che ha già una forma di agevolazione fiscale e contributiva) in prestazioni e servizi di welfare, ovviamente se questi sono più “convenienti” del salario e sentiti dai lavoratori.

Dalle poche e sommarie considerazioni qui svolte risulta comunque già chiaro che il welfare contrattuale costituisce un versante della contrattazione di portata strategica sul quale il sindacato deve avere un proprio progetto e sul quale investire in termini di elaborazione, di conoscenza, di formazione e di preparazione di una nuova generazione di sindacalisti.

Il welfare contrattuale con le sue evidenti connessioni con la bilateralità si iscrive come elemento qualificante di un moderno sistema di relazioni industriali di tipo partecipativo.

 

 (*)  CISL nazionale

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