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Sconfiggere egoismo e miopia

Già dal titolo, l’Enciclica di Papa Francesco – pubblicata nel giorno di Pentecoste 2015 – ci provoca a cambiare il nostro modo di pensare. La riflessione del Papa (che lui stesso chiama al paragrafo 246: “gioiosa e drammatica insieme”) riguarda la cura che dovremmo dedicare allo “sviluppo sostenibile e integrale”, cioè rispettando le risorse naturali e l’ambiente, che definiscono la nostra “casa comune”.

    Per l’economista, tutto ciò richiede un iniziale breve ripasso di tre concetti, usati di frequente, ma spesso senza che ne vengano chiarite tutte le implicazioni. In ultima istanza, ne deriva il rapporto tra l’agire di ciascun individuo e la qualità della società cui appartiene e della politica che la governa. La stessa importanza oggi attribuita all’ecologia ne è parte essenziale.

    I tre concetti sono rispettivamente quello di “bene pubblico”, di “bene comune”, e di “bene privato”. E’ soprattutto il secondo – non a caso – il concetto più frequente nella nuova Enciclica.

    Per “bene pubblico” si intende un bene che – se c’è – ciascuno di noi può consumare per intero, senza escluderne altri e senza poterne essere escluso. Pensiamo alla sicurezza o alla giustizia: quanta ce ne è, è tutta a disposizione di ciascuno di noi. Se io posso dormire, a casa mia, sicuro da un attacco del nemico; possono farlo anche tutti gli altri. La mia sicurezza nulla toglie a quella altrui.

    Chi decide l’offerta (quantità e qualità) di beni pubblici? La politica, grazie alle risorse ottenute dai contribuenti. E’ per questo che la politica è importante e non se ne può fare a meno. Nessuno altrimenti produrrebbe “beni pubblici”, non potendo vendere a qualcuno ciò che  – se c’è  – tutti possono goderne!

   All’estremo opposto, abbiamo i “beni privati”, che vengono consumati solo da chi li compra per l’utilità che ne deriva, e che per definizione nessun altro può a sua volta consumare, magari gratis. Qui valgono le regole di una buona “economia di mercato”, a garantire che sia prodotta esattamente la quantità (e la qualità!) di beni che i consumatori sono disposti a comprare al prezzo ritenuto corretto.

    Problemi intellettualmente e politicamente più complicati si presentano invece nel caso dei tanti “beni comuni”, pure essi molto importanti (spesso indispensabili) e che hanno in un certo senso caratteristiche intermedie tra il loro essere “pubblici” in natura, e invece “privati” nell’uso. Le risorse naturali cui è dedicata la nuova Enciclica sono appunto la “casa comune” di cui spesso abusiamo, a spese degli altri e soprattutto a spese delle future generazioni.

Egoismo e miopia sono infatti i due nostri principali difetti, che producono inquinamento, degrado ambientale, e spreco. L’abuso che ciascuno di noi fa di qualcosa che non è solo suo, perché a ben guardare interessa anche al prossimo e ai nostri eredi: è questo il principale problema che siamo esortati a correggere e che tipicamente riguarda l’uso diretto o indiretto di “beni comuni”.

    Come Papa Francesco ben sottolinea, con esplicito riferimento – nelparagrafo 30 – all’acqua, il problema è anzitutto “una questione educativa e culturale”, perché troppo spreco è spesso inconsapevole o comunque tollerato. Ma non ce la possiamo cavare così, facendone solo una questione di coscienza o di buona educazione. E ancor meno possiamo cavarcela limitandoci ad auspicare che sia allora l’ente pubblico, ad esempio il Comune ad occuparsene, poiché di “bene comune” si tratta. Qualcuno ha visto come era “comune” il Comune di Roma? Dove sta scritto che gli amici del Sindaco sono meglio degli altri cittadini, quanto ad altruismo e lungimiranza? 

    Mi sembra chiaro – almeno nel nostro caso, ma anche in molti altri paesi dove i beni comuni sono disprezzati – che oltre a cultura ed educazione serve qualcosa di più robusto. Serve anche “educare alla legalità”, come auspicò il Beato Giovanni Paolo II in visita a Napoli nel 1990 e come poi ben spiegò l’Assemblea dei vescovi italiani (CEI, “Educare alla legalità”, S. Francesco, 4 ottobre 1991) in un testo che merita rileggere (per anni, l’ho messo come lettura consigliata all’inizio del mio corso di Politica economica: a che servirebbe discutere di politica economica, se non c’è anzitutto la cultura della legalità, the rule of law come dicono gli inglesi?).

    Servono buone leggi, rispettate e fatte rispettare, scritte da politici eletti perché stimati e competenti, e rivolte in particolare a tutelare i più poveri sui quali più ancora che sugli altri si scaricano tutti i costi del degrado ambientale e dello spreco. Anche questo dei poveri, in connessione ai problemi ambientali, è un concetto più volte sottolineato nell’Enciclica, che pur concentrandosi sull’ecologia certo non si dimentica degli “ultimi” e della loro aumentata sofferenza.

Se nella Caritas in veritate (2009) c’era un esplicito riferimento alla crisi economica, iniziata a livello globale nel 2007 ed ai suoi auspicabili rimedi (discernimento e nuova progettualità), nella Enciclica di oggi non manca un rinvio ai problemi della degradazione sociale, anzi il tema è approfondito con esplicito riferimento al collegamento tra degrado ambientale ed esclusione sociale: è soprattutto, e sempre più, ai poveri che destiniamo l’inquinamento.

    La nuova enciclica è stata ovviamente ben accolta dai tanti amanti della natura e da quanti si impegnano sui temi dell’ecologia e della protezione dell’ambiente. Avrebbe stupito il contrario. Ma a ben guardare, le basi filosofiche sulla necessità di rispettare il prossimo e le future generazioni (il contrario dell’egoismo e della miopia, che sono risultati prevalenti negli anni che hanno preceduto la grande crisi, iniziata nel 2007, e non ancora terminata) vanno oltre il problema pur molto importante delle risorse naturali. 

    Dopotutto, la “casa comune” non è solo fatta di terra, di sabbia, e di acqua. E’ anche fatta di relazioni tra persone, ed è anche fatta di beni altrettanto importanti come la scuola, come è fatta di equa remunerazione al lavoro prestato, di occupabilità, e di protezione sociale.

    Per tutti questi aspetti, a volte solo accennati da Papa Francesco, continua ad essere punto di riferimento la dottrina sociale della Chiesa, che qui si completa con un tassello importante e che ci ricorda l’impegno che tutti dovremmo metterci a lasciare alle nuove  generazioni una terra possibilmente migliorata rispetto a quella che abbiamo ricevuto.

 (*) economista e docente all’Università Cattolica di Milano

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