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Se 80 vi sembrano pochi

Nel 2014, i primi 80 supermiliardari detenevano una ricchezza pari a quella che accumulano (si fa per dire)  3,5 miliardi di persone poco abbienti o povere. Nel 2010 ce ne volevano 388 per eguagliare quella massa di redditi bassi e bassissimi. Della ricchezza planetaria, ne possiedono la metà e tra il 2010 e il 2014 sono passati da 1300 miliardi di dollari a 1900 complessivi. Essendo stati anni di crisi quasi generalizzata, è evidente che questo significativo incremento è avvenuto a spese degli altri terrestri. Oxfam, con il suo Rapporto “Grandi disuguaglianze crescono”, documenta questo esproprio, utilizzando anche le analisi che periodicamente fanno Credit Suisse e Forbes.

Il Rapporto è ricco di indicazioni sulla concentrazione territoriale di questi Paperoni, sui settori in cui l’accumulazione avviene con più costanza, sulle tecniche lobbistiche per influenzare le decisioni pubbliche e per condizionare il mercato. E’ interessante anche la sottolineatura che fa circa l’alta anzianità dei ricchissimi e la schiacciante prevalenza di uomini (96%). Come è impressionante la constatazione finale di Oxfam secondo la quale se fossero pagate le tasse – che invece vengono evitate soprattutto ricorrendo ai paradisi fiscali – ci sarebbero 190 miliardi di dollari l’anno a disposizione per finanziare servizi pubblici  e di qualità per tutti i cittadini.

La ricchezza non è una parolaccia. La ricchezza è il frutto del lavoro di miliardi di persone. Il problema, da sempre, è la sua distribuzione tra le persone e tra i territori. Ma il dato nuovo è che con la globalizzazione gli squilibri si sono fatti più complessi. Il Pil di tutte le regioni mondialiè più che raddoppiato negli ultimi 30 anni, raggiungendo i 79 trilioni di dollari nel 2014. Questa crescita ha riguardato anche le aree continentali il cui reddito medio si sta avvicinando quello dei paesi più ricchi ( il Pil dell’Asia meridionale è cinque volte quello del 1985). Anche le persone in estrema povertà sonodiminuite; erano il 36% della popolazione mondiale nel 1990, sono il 16% nel 2010. 

Buone notizie a livello globale e nazionale, ma cattive se andiamo a vedere la distribuzione della ricchezza a livello individuale.Le disparità, comeabbiamo visto, crescono in maniera spropositata. La questione è tutta qui: lo sviluppo globalizzato tende ad  appiattire le differenze a livello di sistema, ma le polarizza a scala individuale. Non basta la crescita per assicurare un’equa distribuzione della ricchezza prodotta. Non funziona la dottrina che evoca piena libertà di emulazione e di competizione, la detassazione e la delegislazione per far star bene le persone.

E’ la politica che deve fare la sua parte, in questa situazione inedita. A scala nazionale e globale. Come una volta si diceva che non si può realizzare il socialismo in un solo Paese, così ora non si può realizzare una maggiore uguaglianza di condizioni reddituali delle persone in un solo Paese. Certo, molte politiche fiscali nazionali vanno riviste in questa ottica. Non è questa la sede per approfondire la questione. Anche perché il dibattito è apertissimo. Piketty propone di ritornare alla tassa di successione progressiva sulle eredità, altri insistono  sulla tassa patrimoniale. Altri ancora a revisioni profonde dei sistemi fiscali. 

Ma più urgente e più complicata è la lotta alle grandi disuguaglianze nel mondo. Il capitale corre dove si possono fare più profitti, ma soprattutto dove si possono pagare meno tasse. Per questo vanno banditi i paradisi fiscali sparsi nel mondo, presso i quali soggetti individuali e societari trasferiscono le loro finanze e dai quali scorazzano per il mondo a caccia dei migliori rendimenti. Se non ci si muove ora, dobbiamo forse attendere che  divenga esausto il grido del finanziere Soros, rivolto ai Governi del mondo: “fermateci, prima che distruggiamo il sistema economico?”

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