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Un paese avaro non crea fiducia nel futuro

Il Fertility Day, infelicissimo esordio pubblicitario del Ministro della Sanità (leggere Dandini), ha comunque dato risalto ad un problema spesso presente nelle discussioni tra le persone, anche se non interessate direttamente, ma mai affrontato come “questione nazionale”. Eppure tale è. Non fare figli non è reato per i singoli, ciascuno dei quali ha buone ragioni per giustificare una scelta che sta diventando di massa (e subito imitata dagli immigrati). E’ colpevole, invece, la loro classe dirigente che, continuando a vivacchiare sul presente, sta compromettendo il futuro.

Per una ragione sempre più lampante e che dovrebbe far tremare i polsi a tutti. Con la globalizzazione, i capitali per gli investimenti vanno in giro per il mondo a caccia dei territori più convenienti e si fermano non solo dove sono certi di fare profitti, ma di farli nel tempo. Ebbene, tra le principali ragioni di scelta su dove atterrare, il tasso di natalità è tra i primi. I Paesi a rischio di invecchiamento crescente vengono snobbati, indipendentemente dalle politiche che vengono adottate per attrarli.

Questo è certificato da tante ricerche (leggere Cacace), ma soprattutto dal buon senso. La scarsità di risorse umane coinvolgibili nei lavori è fattore di freno ad effettuare investimenti consistenti e duraturi nel tempo.  Non riguarda soltanto i capitalisti stranieri. Sia per essi che per i nostrani, sarà sempre più chiaro che è meglio andare verso quei Paesi che hanno saldi positivi tra nascite e morti, sia attuali che prospettici. E non sono pochi, sia nelle aree mature (in Europa, soprattutto gli scandinavi e la Germania) che in quelle che si affacciano al benessere (Sud America, Africa, Asia), come documenta il prof. Livi Bacci.

Per non diventare un Paese di vecchi – per lo più tendenzialmente arzilli – ma che vivono in una situazione di desertificazione delle attività produttive più evolute, anche a seguito delle scarse disponibilità di giovani professionalizzati nati in Italia o reclutati attraverso l’immigrazione, sarebbe necessario uscire dall’avarizia di assunzioni di responsabilità, di visioni di lungo periodo, di soluzioni complesse e complessive.

Bisognerebbe passare ad una fase di generosità propositiva che ricostruisca la fiducia nel futuro (leggere Rosina). Specie per i giovani che, ovviamente, vanno messi nelle condizioni di pensare ad essere padri e madri di molti bambini non come i nostri antenati. Fino ad un paio di generazioni fa, la famiglia numerosa non era una mosca bianca; fare figli – si diceva – è una ricchezza. Ma ai nostri bisnonni non era noto né l’Ogino Knauss, né gli anti concezionali. Né la meccanizzazione e la robotizzazione della fatica fisica, né lo stress della vita moderna.

Le ragioni per convincere i giovani a procreare secondo desiderio e responsabilità  devono essere diverse dal passato. Come ha affermato Francesca Izzo per conto di “Se non ora, quando-Libere”, “la maternità non è un peso da cui liberarsi ma una potenza da affermare politicamente e socialmente” (Seminario su “Diritti dei bambini e delle donne, riflessione sulla maternità surrogata” svolto a Strasburgo il 10/10/2016) “.

Quelle ragioni devono trasformarsi in strategia di lunga lena, in azioni a vasto spettro (leggere Cancellato). Vanno dall’innalzamento dell’occupabilità stabile (leggere Borzì) alla tutela reddituale per chi rischia la povertà (leggere Saraceno), dalla dotazione di asili nido adeguati alla domanda (leggere OCSE) all’accompagnamento fino al termine degli studi (perché non rispolverare la proposta di Blair di un’assicurazione cofinanziata al 50% dallo Stato e dai genitori per gli studi dei figli?), dal rafforzamento degli assegni familiari e loro estensione a tutte le famiglie (leggere Benetti e Guillot) alla qualificazione del welfare aziendale in questa direzione (leggere Conclave).

Ma ciò che conta è dare dignità nazionale a questa strategia. Finchè rimarrà relegata negli eccetera delle leggi di stabilità e nella propaganda (maldestra) d’un ministero, non avremo né un incremento delle nascite, né freneremo la fuoruscita dai confini, dei giovani in cerca di lavoro. La fiducia nel futuro è la più autentica spinta per invertire la tendenza alla denatalità. La può esercitare soltanto una classe dirigente che non agisca guardando nello specchietto retrovisore.

 

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